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Banda larga, lavori al via senza il catasto del sottosuolo. Che avrebbe abbattuto i costi ma anche i posti di lavoro

La posa della fibra partirà al buio: la banca dati Sistema informativo nazionale federato delle infrastrutture, strumento "di coordinamento e trasparenza", non è mai nata. Intanto Telecom e Enel sono alle battute finali della partita per accaparrarsi Metroweb, la municipalizzata milanese della fibra. Per l'ex monopolista strada in salita

Si può decidere di fare una strada ex novo senza avere la mappa di quelle già esistenti? E’ quello che sta facendo il governo di Matteo Renzi sulla banda ultralarga. Il piano per la fibra è stato inviato a Bruxelles, i bandi arriveranno forse fra un mese, Telecom e Enel sono alle battute finali del duello per conquistare Metroweb. Ma del catasto del sottosuolo non c’è traccia. Peccato perché la banca dati, ribattezzata Sistema informativo nazionale federato delle infrastrutture (Sinfi), è stata ideata proprio per avere un’idea chiara sul da farsi. L’obiettivo era infatti di permettere agli operatori l’abbattimento dei costi di scavo, che rappresentano l’80% dei lavori di posa della fibra. Alla fine, invece, i lavori partiranno senza la cartina completa di tutte le strutture già disponibili ad ospitare la fibra senza costi aggiuntivi.

E pensare che il governo Renzi considerava il catasto, creato con il decreto legislativo 33 del 2016, lo strumento principe per la pianificazione territoriale dei lavori necessari per posare la fibra. “Il catasto del sotto e soprasuolo (..) è prima di tutto uno strumento di coordinamento e trasparenza per la nuova strategia per la banda ultralarga”, spiega il sito della società pubblica Infratel, che gestisce i bandi per l’assegnazione dei fondi pubblici per costruire la rete di telefonia nelle aree a fallimento di mercato. “Il catasto, dunque, non si limita solo a favorire la condivisione delle infrastrutture mediante una gestione ordinata del sotto e sopra suolo e dei relativi interventi, ma diventa il cruscotto che gestisce con efficienza e monitora tutti gli interventi descritti”, prosegue la società.

La banca dati delle infrastrutture, che dovrebbe essere alimentata da cittadini, enti gestori delle strade e operatori del sotto e sopra suolo (da Enel a Telecom passando per le municipalizzate, per intenderci), avrebbe insomma permesso alle casse pubbliche di risparmiare sui fondi che verranno distribuiti fra gli operatori per costruire la nuova rete in fibra. E, riferisce sempre il sito Infratel, avrebbe “ottimizzato la progettazione dell’infrastruttura a banda larga e migliorato il processo di manutenzione delle stesse”. Tuttavia l’altro lato della medaglia sarebbe stato un impatto occupazionale più contenuto nell’ambito di un progetto che si stima complessivamente possa portare fra i 6mila e gli 8mila nuovi posti di lavoro.

Nonostante lo stallo, non sembra che il governo abbia completamente rinunciato al progetto del Sinfi come testimonia l’addendum alla Consultazione pubblica della Strategia per la banda ultralarga, pubblicato sempre da Infratel. Nel documento è previsto che “ai fini della valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, nell’ambito delle procedure di selezione – per assegnare i fondi pubblici – l’utilizzo di infrastrutture esistenti è positivamente valorizzato”. Inoltre “gli operatori che controllano infrastrutture di posa sono tenuti ad aggiornare i dati contenuti nel Sinfi, istituito con il recente decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 33, al fine di garantire la possibilità di accesso e condivisione delle medesime infrastrutture da parte di altri operatori interessati”. Ma siccome il Sinfi non c’è, allora “nelle more” toccherà ai potenziali beneficiari del bando comunicare “con congruo anticipo”, attraverso Infratel, “l’indicazione delle infrastrutture disponibili nell’area interessata, che vuole utilizzare”. Insomma, un pasticcio che non gioca certo a vantaggio di trasparenza ed economicità.

Intanto, mentre gli operatori attendono i primi bandi per accaparrarsi i soldi pubblici, Telecom e Enel entrano nel vivo della partita per accaparrarsi Metroweb, la municipalizzata milanese della fibra controllata da Cdp e F2i. L’ex monopolista, guidato da Flavio Cattaneo, ha messo sul piatto 820 milioni per la società meneghina. Non prima di aver tentato invano di convincere i soci di Metroweb a scambiare la società milanese per il 25% di Sparkle, la controllata dei cavi sottomarini che fa capo a Telecom. L’offerta di Telecom, che venerdì 13 riunirà il cda per parlare di tagli e della vendita delle torri di Inwit, resterà valida fino al 16 maggio, ma intanto l’Enel si prepara alla controffensiva. Anche perché senza Metroweb i progetti di Enel Open Fiber sarebbero decisamente più costosi e complessi.

Allo stato attuale, per Telecom la strada per conquistare Metroweb non è affatto in discesa per via dei problemi di concentrazione di mercato già sollevati da Vodafone alla fine del 2014. “Qualora Telecom acquisisse il controllo di Metroweb Italia eliminerebbe l’unico operatore di rete attualmente in grado di porsi quale valida alternativa nel mercato dell’accesso fisico all’ingrosso della rete con evidente pregiudizio per la concorrenza, per gli Olo (ovvero tutti gli operatori alternativi, ndr) e, soprattutto, per i consumatori finali”, aveva spiegato Vodafone in una segnalazione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato dando i dettagli degli effetti negativi derivanti dall’ipotesi di acquisizione di Metroweb da parte di Telecom Italia. Da considerazione simili a quelle di Vodafone è, del resto, nato il progetto Enel benedetto da Renzi e aperto anche a Telecom come ha spiegato l’ad del gruppo elettrico Francesco Starace. Ma che potrebbe avere vita dura dalla vendita di Metroweb a Telecom Italia.