Società

Olio di palma, ma perché i ragazzini sono assuefatti ai sapori industriali?

Dilagano le pubblicità dell’olio di palma sostenibile, e l’olio di palma entra nelle nostre case sotto ogni forma: biscotti, creme, crackers, cosmetici, saponi, crema spalmabile, perfino energia e (bio?)diesel… Ma è davvero così sostenibile l’olio di palma? Esiste una petizione che denuncia come ingannevoli queste pubblicità. “L’olio di palma è un olio di origine naturale che non presenta rischi per la salute in una dieta bilanciata” dicono i sostenitori.

In una dieta bilanciata occorre ridurre e se possibile fare a meno di tutti quei prodotti alimentari che subiscono intense lavorazioni industriali, processi di raffinazione, e che contengono un’alta percentuale di grassi saturi, così come l’olio di palma.  L’Agenzia francese per la sicurezza alimentare ha pubblicato un dossier sul problema dei grassi saturi, ripreso nel 2013 dal Consiglio superiore della salute del Belgio, nel cui testo c’è scritto “il consumo eccessivo può avere effetti negativi sulla salute e aumentare il rischio cardiovascolare” e invita i consumatori a preferire i prodotti che contengano pochi acidi grassi saturi aterogeni. Eppure nella maggior parte delle merendine, biscotti, gelati, snack destinati ai bambini è presente l’olio di palma.

I compagni dei miei figli portano tutti i giorni a scuola snack e merendine, quasi mai frutta o semplici fette di pane. Di certo leggere nei giornali, nelle riviste e finanche negli studi pediatrici “l’olio di palma fa bene” incentiva i genitori a comprare merendine. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali si sta impegnando a portare la frutta a scuola. Purtroppo vedo che molti bambini preferiscono alla frutta le merendine portate da casa. Possibile che i ragazzini siano così assuefatti ai gusti industriali da non apprezzare più i sapori naturali? Se questa è la dipendenza fisica e psichica creata dall’industria e dai suoi prodotti… siamo arrivati al capolinea. E’ tempo di fermarsi e tornare indietro.

La pubblicità recita “la sua coltivazione sostenibile aiuta a rispettare la natura”. SI dice infatti che le piantagioni di palma da olio sono ad alta resa e ciò permette di disboscare meno ettari di foresta rispetto agli oli tradizionali.  Nel 2007 lo United Nations Environment Programme (Unep) ha decretato la coltivazione della palma da olio come la causa principale di distruzione delle foreste pluviali. Si stima che entro il 2020, le foreste indonesiane saranno definitivamente distrutte. Questi incendi di solito si propagano sopra le torbiere, rilasciando nell’aria milioni di tonnellate di Co2. Molte specie stanno scomparendo: oranghi, tigri, rinoceronti, elefanti, oltre 1.500 specie di uccelli e migliaia di specie vegetali sono a rischio estinzione. Come tutti i prodotti esotici di largo consumo, l’olio di palma compie decine di migliaia di km, con notevole emissione di Co2 e consumo di combustibile fossile. I risvolti negativi sono anche sul piano sociale e occupazionale: alle comunità indigene impiegate nelle piantagioni di palma da olio non sono garantiti i diritti umani e le garanzie lavorative riconosciute nei paesi occidentali.

Molte associazioni ambientaliste criticano lo scandalo della certificazione  Rspo, perché non apporta garanzie: è un’autocertificazione, difficilmente controllabile e non prevede sanzioni. Wwf e Greenpeace hanno costituito un’associazione alternativa di certificazione dell’olio di palma sostenibile, basata su criteri più rigidi e sicuramente più coerenti. La questione è complessa e si intreccia con i nostri stili di vita, con l’eccessiva domanda di prodotti  esotici e industriali su scala globale. Anche qui la decrescita può dare una risposta. Se riuscissimo a ridurre l’uso dei prodotti industriali, del cibo già pronto, se provassimo a limitare il consumo di prodotti esotici, ci sarebbe meno sfruttamento di lavoratori e di foreste, meno traffico, meno inquinamento.  Noi, nel nostro piccolo, cerchiamo di auto-produrre ciò che possiamo, ridurre i consumi superflui, mangiare cibo locale e sano, che non subisca intensi processi industriali…e quando capita di consumare prodotti esotici, preferiamo quelli certificati del commercio equo e solidale.