Diritti

Diritti Lgbt, sui media italiani i gay ridotti a fenomeno acchiappaclic

Sono abituato a parlare di fronte a tanta gente. Di solito è semplice per me, è successo molte altre volte, tra incontri con liceali e presentazioni del mio libro sul bullismo. Eppure domenica a Perugia, all’International Journalism Festival, al cospetto delle persone accorse per il panel dal titolo “Diritti Lgbt, unioni civili, matrimonio egualitario, stepchild adoption e Gpa (Gestazione Per Altri)”, a un certo punto il mio cuore ha fatto un sussulto. Non so perché. Ho sentito il respiro accorciarsi. Di solito, in questi casi, bisogna interrompersi e prendere aria. Ho fatto finta di nulla e sono andato avanti, per parlare delle storture nei nostri media sulla rappresentazione della gay community.

Una narrazione fatta ancora oggi, nell’Italia del 2016 – questo il senso del mio intervento – non tanto per informare, quanto per spettacolarizzare un insieme di tematiche riducendole a fenomeni ‘acchiappaclic‘, per quanto riguarda certi siti e giornali on line. Nessuno escluso. E se vogliamo diventare un paese 2.0, ho ricordato alla platea, dobbiamo rinunciare a vedere in gay, lesbiche, trans, ecc, un’eccezione alla norma da trattare di conseguenza: con le parole (e di conseguenza, con la politica) della discriminazione.

All’incontro organizzato da Arcigay Arcilesbica Omphalos e coordinato da Caterina Coppola, “dea ex machina” di Gaypost.it, nuovo sito di informazione Lgbt, c’erano Chiara Lalli, bioeticista e saggista, e Melita Cavallo, ex presidente del Tribunale per i minori di Roma, ora in pensione, che con le sue ultime sentenze ha confermato la legittimità delle stepchild adoption. E ricorda, durante il dibattito, di aver visto genitori tra le persone omosessuali che hanno dimostrato un grande senso di responsabilità nel decidere di creare una famiglia. Per tale ragione, e nel pieno delle facoltà previste dalla legge, il suo collegio ha deciso di “aprire” all’adozione del figlio del partner anche alle coppie omosessuali. Perché in quelle situazioni c’è il senso della cura. E tale capacità esula dall’orientamento del genitore. Perché, diciamolo una volta per tutte, la famiglia come categoria politica – fatta solo da “padre, madre e bambini”, per ricordare certe piazze d’odio – non corrisponde col dato antropologico delle famiglie al plurale. Ma la via, sembra essere segnata e non si torna più indietro.

È emerso, inoltre, un altro aspetto importante che riguarda non solo la maternità surrogata, altro tema affrontato dalle relatrici, ma anche l’autodeterminazione delle donne. Descritte, fa una battuta Chiara Lalli, come “dolcemente complicate” dal potere maschile che le vuole di fatto sottomesse o sostanzialmente inabili nel prendere decisioni autonome da un certo pensiero riconducibile a una parte della galassia femminista (quella alla “Se non ora quando – Libere”, per intenderci). Per la bioeticista, una donna è capace di prendere autonomamente la decisione di fare la Gpa in modo solidaristico o per denaro e che non c’è scandalo se ciò accade, visto che usiamo i nostri corpi, ci ricorda ancora, per altre forme in cui è previsto un ritorno economico, come il lavoro quotidiano nella sua forma più elementare.

Cavallo ricorda ancora che i bambini adottabili sono sempre meno e che sempre più coppie omosessuali praticheranno la surrogacy. Si pone un problema, allora: lasciare tutto al caso, determinando per altro fuoriuscita di capitali verso l’estero, o regolamentare il tutto anche da noi? E Lalli, ancora, fa presente che decidere di vietare pratiche per ciò che ai nostri occhi è ritenuto non comprensibile o abietto porterebbe una società in cui sarebbe vietata praticamente ogni cosa. È davvero quello che vogliamo?

Dal pubblico qualcuno mormora. Eppure, ricorda ancora Coppola, laddove la Gpa è aperta anche ai gay è proprio in quei paesi in cui le donne devono essere economicamente indipendenti e in cui hanno tutti i diritti tutelati. E poi, concludo, dovrebbe sorgere spontaneo un dubbio: importiamo petrolio da luoghi in cui ci sono le spose bambine e capi d’abbigliamento in cui le donne lavorano meno di un dollaro al giorno. Eppure il problema siamo noi, da poco tempo a questa parte, che vogliamo figli e li facciamo secondo regole ferree in stati in cui i diritti di donne e minori sono ampiamente tutelati. Forse che il problema non è tanto lo sfruttamento quanto il fatto che ad accedere alla genitorialità siano due uomini, per cui entrambi maschi, e anche “un po’ froci”? La gente sorride, poi gli applausi e i saluti finali. Non abbiam dato certezze assolute, ma fornito spunti interessanti di dibattito. Che continuerà ancora, in altre sedi. Dal mio punto di vista, è stato bello far parte di tutto ciò. Forse è per tale ragione che il mio cuore batteva ancora.