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Cronache dal Niger – Le ferite di Oumour e quelle della democrazia

Suo figlio ha ormai 5 anni e si chiama Harouna. E’ nato sano grazie al dio qualunque e alle terapie che la madre ha seguito durante la gravidanza. Oumour si è ammalata col papà di Harouna che l’avrebbe in seguito lasciata. E’ nata in Costa d’Avorio da madre avoriana e padre nigerino. All’età di sette anni il padre,prima di morire, la porta nel Niger. Ha la nazionalità nigerina senza mai aver cominciato di terminare gli studi. Trova un altro compagno e poi un altro che la maltratta. Piange perché non ha dove abitare dopo essere scappata da se stessa e la sua vita. Esibisce i certificati di nascita, suo e di suo figlio, quello di nazionalità e le più aggiornate analisi mediche. Il suo corpo giovane reagisce bene all’infezione di Hiv- Aids. Una ferita che si porta dentro un sacchetto di plastica nero che nasconde le analisi appena fatte.

L’amica che l’ospitava ha sparso la voce della malattia. Oumour ha provato vergogna e per consolarsi è tornata da un vecchio amico d’infanzia che poi, una volta saputo della malattia, la maltrattava. Da tempo suo figlio non abita con lei. Sta presso un’amica e lo vede crescere ogni fine mese. Mette da parte i soldi per l’affitto e per qualcosa da mangiare. Fortuna che il sangue della madre e del figlio hanno seguito sentieri diversi. Ne sarebbe morta e ora invece cerca un lavoro qualsiasi per andare a vivere da sola e non dare fastidio a nessuno. Il padre del bambino, dal quale si è separata, è di origine nigeriana e si chiama Mike, con aggiunta di Malik per compiacere la precedente sposa. E’ infatti nel Tchad che lui ha avuto il primo figlio da un’altra signora. Malik, nome che vuol dire re. Un re che ha disertato il suo popolo, come nel Niger.

Anche la democrazia nigerina porta le ferite e la stessa malattia di Oumour. Una ferita mortale alla sovranità del popolo. Tenuta nascosta ai più, con la complicità della comuntà internazionale che è forte coi deboli e debole coi forti. Vigliaccherie si chiamavano quando le parole e le cose si assomigliavano ancora. Un’impostura le elezioni  truccate, anzi, ferite dall’imbroglio numerico percentuale. Cifre dittatoriali per un contesto di omertà umanitaria dove guadagna chi del potere si fa servo e cantore. La sociètà è poco civile quando si tratta di pagare di persona e magari rischiare altre ferite dalla polizia. Una sola grande menzogna che ha trovato i suoi imprenditori anche senza i paradisi fiscali scoperti facendo finta di non sapere. L’ipocrisia senza limite a cui le terapie non faranno nulla se non accompagnare sintomi mortali.

Luttuose democrazie dove le competizioni elettorali sono campi di battaglia per eserciti mercenari. Feriti e morti dopo la battaglia si contano a decine. Arresti, detenzioni amministrative, fermi precauzionali, interdizioni di marce popolari, sospensione dello stato di diritto e controllo delle reti informatiche. Altrettante ferite al corpo sociale che, avvilito nel profondo, tarda a reagire come si conviene. Mandati presidenziali ‘liquidi’ e flessibili come le costituzioni con un secondo mandato non rinnovabile ma possibile. Le date elettorali che viaggiano nelle piste carovaniere del Sahel mescolati a migranti, contrabbandieri e pirati. L’opposizione è un nemico da combattere e se possibile eliminare nell’assordante silenzio dell’omertà. Gli affari sono affari e,finite le ‘grandi narrazioni della storia’, restano sempre i conti in banca.

Il nome Harouna vuol dire ‘esaltato’. Oumour ha provato una grande gioia alla notizia che suo figlio fosse libero dalla sua malattia. Le sue lacrime si sono trasformate nel canto che esalta quando i piccoli salgono sui troni e quelli che si pensavano eterni sono stati rovesciati. A mani vuote rimangono i profittatori e partono sazi quelli che non sono nelle liste umanitarie. E’ contenta che abbiano esaltato suo figlio e che gli arroganti siano stati dispersi dalla vergogna. Oumour cerca un lavoro anche precario per pagarsi una camera e stare con suo figlio. La sua ferita assomiglia ora a un canto d’amore che il suo nome lasciava presagire.

Niamey, aprile 016