Cronaca

I misteri dei bus in Calabria: attentati, sussidi e riciclaggio. Il servizio pubblico si intreccia con gli interessi dei privati

Quello delle autolinee è un mondo complesso: il costo del solo trasporto locale è di 120 milioni di euro l’anno per una percorrenza di 50 milioni di chilometri. Fondi che il governo paga, attraverso la Regione, ai sei consorzi che gestiscono il servizio

Una bomba davanti alla sede del Gruppo Romano a Crotone. Pochi giorni prima 15 autobus bruciati all’azienda Federico che, negli ultimi 30 mesi, ne ha visti andare in fumo almeno altri 13 in Calabria. Quello delle autolinee è un mondo complesso in cui il servizio pubblico si intreccia con gli interessi di imprenditori autorizzati dal ministero dei Trasporti, a volte interessati più ai finanziamenti pubblici che agli utenti. L’omicidio di Tommaso Guzzetti, avvenuto nel giugno del 2015, è ancora avvolto nel mistero e potrebbe non essere collegato all’omonima azienda di autolinee che la vittima gestiva. A metà febbraio, a Locri, sono bruciati gli autobus della Federico: “Un danno da un milione e mezzo di euro”, si lamenta uno dei titolari della società, Aldo Federico. Sulla sua scrivania ha le foto di tutti i pullman bruciati: “Abbiamo subito tanti di questi incendi e abbiamo fatto sempre le denunce, però purtroppo un caso risolto non c’è”. Sull’incendio alla Federico sta indagando la Procura di Locri.

Non c’è solo la ‘ndrangheta dietro le minacce alle aziende di autolinee. Ne sanno qualcosa Dino ed Ezio Romano, amministratore e presidente del più grosso gruppo di autolinee a Crotone. Hanno scoperto chi ha fatto esplodere un ordigno rudimentale davanti alla loro azienda poche settimane fa: un addetto alle pulizie con cui avevano avuto una controversia. Dino Romano accompagna le telecamere de ilfattoquotidiano.it nel deposito: “Tra il 2005 e il 2007 abbiamo subito l’incendio di cinque autobus, altri sono stati bruciati a San Giovanni in Fiore. E poi hanno sparato alle vetrine dell’ufficio, hanno distrutto alcune automobili tra cui la mia e quelle di diversi amministratori della società”. Il costo del solo trasporto locale in Calabria è di 120 milioni di euro l’anno per una percorrenza di 50 milioni di chilometri. Fondi che il governo paga, attraverso la Regione, ai sei consorzi che gestiscono il servizio. Consorzi costituiti per l’80% da aziende private e il 20% dal pubblico. “L’esatto contrario che nel resto del Paese”, spiega Dino Romano che è anche segretario regionale dell’Anav, l’associazione nazionale autotrasporto viaggiatori.

Varie procure calabresi stanno ancora indagando su alcune società di autolinee che hanno avuto accesso a finanziamenti regionali destinati ad acquistare autobus da utilizzare esclusivamente per il trasporto locale e che, invece, hanno rafforzato il parco mezzi di società cloni (riconducibili agli stessi proprietari) che si occupano delle tratte interregionali. La legge regionale 35 del 2015 impone “il divieto dell’utilizzo, anche temporaneo, dei beni cofinanziati per servizi a libero mercato”, ma nessuno controlla e spetta alla Guardia di finanza accertare se quegli autobus, pagati con i soldi dei calabresi alle aziende private, siano utilizzati per il trasporto pubblico locale.

Il rischio del riciclaggio è dietro l’angolo. A fronte di numerosi controlli per chi viaggia in aereo o in treno, infatti, non avviene lo stesso per i pullman. L’azienda può staccare tanti biglietti quanti posti a sedere ha l’autobus. Ma chi controlla se il pullman ha trasportato 60 persone o 10? Le autolinee possono diventare lavatrici di soldi come i supermercati che di notte battevano scontrini per la ‘ndrangheta.

In Calabria avviene pure che il ministero dei Trasporti autorizzi aziende di autolinee i cui proprietari vengono considerati dalla Prefettura di Reggio “soggetti controindicati” in un’altra società edile interdetta per mafia. È il caso della Mucciola Piero Srl che, il 13 luglio 2015, ha inviato una richiesta alla prefettura e alle forze dell’ordine affinché riesaminassero la pratica del suo certificato antimafia. I titolari dell’impresa sottolineavano di “avere acquisito in prefettura alcune informazioni riguardanti le circostanze e i soggetti controindicati”. Tra questi – scrive l’amministratore unico della società interdetta, Piero Mucciola – “abbiamo appreso, seppure in maniera poco chiara, che fossero considerati controindicati anche i due sindaci effettivi (della sua azienda), Fedele Luciano e Cannatà Francesco”. Quest’ultimo, inoltre, viene citato in un’informativa della questura riguardante la squadra di calcio Hinterreggio (di cui era sindaco effettivo, ndr) la cui società è stata interdetta per mafia: “Cannatà Francesco – è scritto in una nota dell’allora questore Guido Longo – risulta denunciato per associazione per delinquere finalizzata alla truffa, truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche e altro”. Il problema è che Luciano Fedele (componente anche del collegio sindacale dell’Asp di Reggio Calabria) e Francesco Cannatà sono i titolari dell’azienda di autolinee Venus Srl che ha un’autorizzazione del ministero dei Trasporti fino al 2017. Come è possibile che i due imprenditori siano considerati soggetti “controindicati” dalla prefettura e non dal ministero dei Trasporti?

Da Il Fatto Quotidiano del 29/03/2016