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Trivelle, anche Transunion Petroleum rinuncia alle ricerche di idrocarburi in mare. No Triv: “Effetto referendum”

La decisione arriva dopo "il rigetto della parte residua delle istanze di permesso" presentate dalla società, sulla base delle nuove norme della legge di Stabilità, che fissa un limite di 12 miglia per le nuove attività di prospezione. E' la terza multinazionale a tirarsi indietro dopo Petroceltic e Shell Italia

Un’altra multinazionale del petrolio getta la spugna: dopo Petroceltic e Shell Italia questa volta tocca alla società inglese Transunion Petroleum. Che rinuncia alle ricerche di gas e petrolio nel Golfo di Taranto e nel Canale di Sicilia. Una decisione che arriva in seguito al rigetto parziale delle istanze da parte del ministero dello Sviluppo economico, in attuazione della legge di Stabilità. Con il nuovo limite delle 12 miglia dalla costa per le nuove istanze il via libera era arrivato, ma con un notevole ridimensionamento delle aree interessate. La Transunion Petroleum ha fatto i suoi conti e ha scelto di non dare corso al procedimento autorizzativo.

LA TERZA MULTINAZIONALE CHE GETTA LA SPUGNA – La notizia è scritta nero su bianco sul Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse (Buig): “Il direttore generale per la sicurezza dell’approvvigionamento e le infrastrutture energetiche ha disposto il rigetto della parte residua delle istanze di permesso di ricerca, presentate dalle Società Transunion Petroleum Italia”. Questo perché la società non ha comunicato il proprio interessamento al prosieguo del procedimento amministrativo nei modi e nei termini indicati dalla comunicazione di ‘Rigetto parziale e riperimetrazione’ del 29 gennaio scorso. Ecco il nodo. A inizio anno, infatti, in conseguenza dell’entrata in vigore della legge di Stabilità (e quindi del limite delle 12 miglia per le nuove attività petrolifere), il Mise ha dovuto procedere con una riperimetrazione delle aree per le quali era stata chiesta l’istanza. In totale sono 27 le istanze riviste dal Mise in attuazione della nuova normativa.

I DUE PROCEDIMENTI CHIUSI – La società inglese nel Canale di Sicilia, a Sud di Gela, aveva presentato un’istanza di ricerca che riguardava un’area di 496 chilometri quadrati, ma si era vista rilasciare il permesso solo per una zona che si estendeva dalla città di Rosario Crocetta fino a Pozzallo per oltre 70 chilometri. Chiuso anche il procedimento aperto in seguito a un’altra istanza per permesso di ricerca nel Golfo di Taranto e nel Mar Ionio. Inizialmente interessava un’area di circa 623 chilometri quadrati al largo di Policoro, ridotti poi a 197 dopo la riperimetrazione. “La riperimetrazione è stata la conseguenza dell’entrata in vigore della legge di Stabilità – afferma Domenico Sampietro, del Coordinamento Nazionale No Triv – in cui il Governo era stato costretto, sotto la minaccia del referendum, a inserire una norma per il ripristino del divieto di nuove attività petrolifere nelle zone marine poste a meno di 12 miglia marine dalle linee di costa e dalla aree naturali protette”.

I NO TRIV: “È L’EFFETTO REFERENDUM” – “La rinuncia della Transunion Petroleum dimostra che la campagna contro le trivellazioni sta sortendo l’effetto sperato – commenta il Coordinamento Nazionale No Triv – anche se i comitati pro-Triv vogliono farci credere che la decisione non sia collegata al referendum del 17 aprile”. Ancora di più perché arriva dopo le decisioni di Petroceltic e la Shell, che vantavano rispettivamente un permesso di ricerca al largo delle Isole Tremiti e due istanze nel Golfo di Taranto. E sul referendum “stiamo lavorando per portare al voto la maggioranza degli italiani – dichiara Stefano Pulcini, del Coordinamento Nazionale No Triv – e per dire forte e chiaro al Governo che il vento è cambiato”.