Diritti

Stepchild adoption e svalutazione dell’affettività

Erano 16 le coppie gay a Roma in attesa che il loro matrimonio contratto all'estero fosse trascritto anche in Italia

È stata persa un’altra opportunità di sostenere il significato e il valore dell’attaccamento che un bambino costruisce con chi se ne prende cura, genitore biologico o adottivo che sia.

Lo stralcio dell’articolo sulla stepchild adoption della legge Cirinnà è la forma che assume il non riconoscimento di questi valori, atteggiamento che caratterizza il nostro scenario culturale. Chi si trova in queste situazioni deve poi sperare nel riconoscimento per altre strade magari attraverso giudici attenti che valutino con coscienza il singolo caso.

Il percorso parlamentare della legge lo sappiamo, è condizionato da necessità politiche per il rischio (così dicono) che l’articolo sulla stepchild stimoli il ricorso alla maternità surrogata in paesi dove è consentita.

Ma prima di tutto è importante normalizzare le situazioni di fatto delle famiglie dove i figli sono già presenti, di regolare la possibilità per il bambino di mantenere la continuità nei legami di attaccamento sia rispetto a chi rimane che rispetto a chi si allontana. Dal punto di vista psicologico è l’ennesima dimostrazione dell’atteggiamento prevalente nei confronti dell’affettività infantile, ma anche verso l’affettività in generale: è qualcosa che conta poco, quasi un effetto collaterale che può essere facilmente sacrificato.

Rimanda indietro nel tempo fino agli anni 30 e 40 del secolo scorso, quando ancora non si parlava di attaccamento. Fino ad allora si riteneva che i bambini piccoli, non avessero capacità di relazione o di apprendimento e che il motivo per cui sviluppavano uno stretto legame con la madre fosse che lei lo nutriva. Si riteneva che la fame fosse un bisogno primario e la relazione personale un bisogno secondario, perciò non ci si creava il problema di separare i bambini dalle mamme e dai papà: se avevano bisogno per esempio di cure ospedaliere, venivano ricoverati da soli in reparti comuni, nella convinzione che il nutrimento regolare e le cure mediche fossero tutto quello di cui avevano bisogno, salvo stupirsi per l’alta incidenza di depressioni e scarsa reattività nei piccoli pazienti durante la degenza e per le conseguenze importanti sull’umore al rientro a casa.

John Bowlby e altri dopo di lui hanno dimostrato quanto siano importanti i legami per il bambino e per le sue figure di riferimento, a prescindere dalle corrispondenze biologiche, di genere, economiche, ecc.. È grazie a questi studi che ora esistono reparti pediatrici negli ospedali dove i bambini possono stare con la madre o con una figura di riferimento a cui sono legati.
Un bambino ha il diritto di mantenere la vicinanza delle persone con cui è cresciuto e a cui è legato e questo sempre, a prescindere dal tipo di famiglia in cui nasce e di come là si pensi al riguardo.