Mondo

Tunisia, a Sousse insieme ai sei ragazzi processati per atti omosessuali

Un processo  importante, mi han ripetuto in tanti. Informaci, aggiornaci. Così dall’ambasciata italiana, da tunisini in cravatta vicini all’ambiente di governo che il mondo “arcobaleno” non l’han mai visto da vicino, dagli italiani alle prese con la votazione delle unioni civili. Parlo del processo d’appello ai sei studenti che in primo grado a Kairouan erano stati condannati a ben tre anni per atti omosessuali, con tanto di test anale e successivi  bullismi vari in carcere fino alla scarcerazione in attesa di appello a SousseFadoua, l’avvocata principale dei sei, per ringraziarmi dell’attenzione e della colletta mi aveva detto “sarai l’unico”. Ma non credevo così tanto incredibilmente unico.

Il Palazzo di Giustizia, bellissimo palazzo bianco accanto alla Stazione di Sousse, era pieno di gente per pratiche e udienze varie, aperte a un pubblico di curiosi. Pochi poliziotti, niente controlli. Ci siamo trovati via cellulare, ai tavoli all’aperto di un caffè vicino, in mezzo a studenti dell’Istituto di Belle Arti, in una bella giornata primaverile. Direi che nessuno ci ha dato attenzione. Eravamo uno strano gruppo, questi ragazzi che si stringevano attorno alla bella avvocata come se fosse la zia, fumando e ridacchiando nervosamente. Skandar, lo scatenato diciottenne (lui direbbe magari “scatenata”) del gruppo ci raccontava la sua ultima conquista, e mi mostrava le foto del bel detenuto (quello invece “è un grande amore“) che gli ha scritto dal carcere. Jihed riusciva a lasciare da parte la madre per venire al tavolo. Aitem, anche lui con la madre, arrivava da Tunisi al pelo. Dalì, reduce da un’aggressione subita sabato sera, ha avuto alla vigilia del processo un altro casino: si è inviperito contro un ragazzo che lo aveva preso a male parole per strada e stavolta è stato lui a malmenarlo. La polizia li ha fermati e lasciati andare.

Queste aggressioni avvengono per l’aspetto e il modo di fare di alcuni dei sei, ma c’è talvolta il sospetto che qualcuno li riconosca o identifichi come i sei omosessuali di Kairouan. Anche per questo mi chiedono di non divulgare foto evidenti. C’è anche chi ai giudici, e in famiglia, si dichiara non omosessuale. Gli altri han detto che sì, lo sono, ma che non hanno commesso atti, non certo alle Case dello studente di Kairouan, in cui li hanno arrestati e da cui li hanno espulsi.

Sono arrivati i co-avvocati, breve riunione en plein air coi ragazzi per accordarsi. Sono andato a prendere un panino e al ritorno non c’erano più. In Tribunale, infatti, la porta di legno delle udienze stavolta era chiusa, come mi era stato preannunciato. Per proteggere la privacy. Sui sedili dell’atrio, confuse tra varia gente, le due madri con faccia terrea che fingevano di non avermi mai visto (anche perché non avevano neanche ben capito chi io fossi) e un uomo tra i 30 e i 40, non so se zio o cugino di uno dei sei. Dopo un’oretta sono riapparsi quasi di corsa, da non so dove, si sono accesi tutti una sigaretta e borbottavano “truà mà truà mò” tanto che di primo impatto mi son spaventato. Pensavo gli avessero dato tre mesi. Volevano invece dire che il verdetto sarà reso noto il 3 marzo.

I tre con mamma e zio son ripartiti, a razzo e separati, per Tunisi. Siam rimasti con la supermilitante avvocata Hayet spedita dalle femministe di Tunisi, l’avvocata principale Fadoua e i tre attualmente fuori casa. Da quel che ho capito “l’esame” è andato bene, non ci sono stati controinterrogatori difficili, i ragazzi sono riusciti almeno ad accennare i maltrattementi subiti, gli avvocati han spiegato che non ci sono prove contro di loro e che i test anali non sono una prova ma una tortura, Hayet ha addirittura parlato della incostituzionalità della legge. Ma non esiste ancora una Corte Costituzionale a cui rinviarla.

Si parla di come sostenere la vita e la formazione dei ragazzi, sono arrivate due sottoscrizioni dall’Italia, c’è l’interessamento della Organizzazione Mondiale contro la Tortura, insomma un po’ di ottimismo. Il sondaggio sui tunisini che al 65% sarebbero favorevoli a punire legalmente gli omosessuali mi vien detto di interpretarlo dinamicamente, qualche anno fa sarebbero stati di più, negli altri paesi arabi è peggio. Tutto ciò nel giorno in cui il Senato italiano ha votato le unioni civili.

Intanto non so come interpretare il mandato di gestire con discrezione le foto con tre dei ragazzi e l’intervista video all’avvocata. Dico al diciottenne scatenato (che parla bene francese e inglese) che dovrebbe scrivere le sue storie. Alla sera mi fa un squillo per salutare e raccontare che è di nuovo con il suo ultimo “boyfriend”.

Evvai.