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Africa, ‘griot’ come cortigiani. Le derive di un politico

C’era una volta un griot. In alcune tradizioni dell’Africa Occidentale il griot è il poeta e indovino che canta le gesta dei potenti. In relazione col mondo spirituale è un ponte tra le generazioni. Col tempo il griot si è ridotto a magnificare il nome di chi lo paga meglio. Re, politici, religiosi e magnati di ogni tipo. Ad ognuno il suo griot, ad ognuno il suo cortigiano. Poco o nulla di nuovo sotto il sole. Ma dall’intervista di Jean-Léonard Touadi (Clicca qui per leggere l’intervista), originario di Brazzaville, nessuno se l’aspettava.

Renzi è per lui il nuovo principe della politica italiana in Africa. Da buon re ha trovato i suoi nuovi griot. I propri cantori e cortigiani del sistema di liquidazione della politica. L’Africa è un pretesto e lascia allibiti che Touadi sia diventato il cantore del Renzi. L’Italia finalmente, secondo Touadi, sembra prendere sul serio lo spostamento meridionale delle sue frontiere, ben oltre il sud di Lampedusa. Fino al deserto, fino alla polvere, fino ai migranti, fino a Eucap, il progetto europeo di controllo del deserto dei Tartari. Il nemico arriva, dovrebbe arrivare, si avvicina e allora ci si prepara. Le armi e il commercio, che delle armi è l’applicazione moderata, ne sono la strategia principale.

Nell’intervista citata Touadi presenta Renzi come sensibile alle morti del Mediterraneo. Si riferiva forse alla vendita delle armi ai soliti paesi in via di dittatura. La Costituzione del paese in questione, che Touadi ha rappresentato come parlamentare, da un lato ripudia la guerra e dall’altro la prepara.

L’Italia non ha il complesso coloniale, ricorda Touadi. Eppure lui ha studiato, è in Italia da anni, conosce la storia. La menzogna lo ha colonizzato. La colonizzazione, più breve e ‘stracciona’, non è stata meno crudele e coerente con lo spirito del tempo. Dai gas ai massacri, il sogno coloniale italiano si è tinto di sangue e un milione circa di connazionali ha transitato o vissuto nel continente. L’Italia è dunque in qualche modo vergine, martella Touadi, non si sa se parlare di ignoranza colpevole o di faziosità.

Nei due casi si tradisce la verità storica, e questo è grave, per un africano di origine, che pure ha avuto Patrice Lumumba  come vicino. Quest’ultimo, ucciso il 17 gennaio del 1961, lasciò una lettera-testamento a sua moglie, Pauline Opango. Lumumba scrisse, tra l’altro: “L’histoire dira un jour son mot, mais ce ne sera pas l’histoire qu’on enseignera à Bruxelles, Washington, Paris ou aux Nations Unies, mais celle qu’on enseignera dans les pays affranchis du colonialisme et de ses fantoches. L’Afrique écrira sa propre histoire et elle sera au nord et au sud du Sahara une histoire de gloire et de dignité. Ne me pleure pas, ma compagne”.

Ci si aspettava che un quasi figlio del paese di Lumumba, già onorevole nel paese che lo ha scelto come suo rappresentante, non perdesse la dignità. Altri continuano a scrivere la storia dei poveri e la storia dell’Africa. Touadi sta tradendo il continente e il paese di cui è originario. E’ ormai un cantore di corte, un griot del potere.

Forse è il partito che lo ha ridotto così, il Partito Democratico. Limitatosi a gestire o meglio ‘amministrare’ la realtà di potere, all’ombra di Berlusconi prima e a cielo aperto adesso. L’Italia è di ritorno sullo scacchiere internazionale, constata Touadi. Dimentica le migliaia di volontari e missionari che in silenzio e spesso al prezzo della vita l’Africa non l’hanno mai lasciata. Lei non è uno ‘scacchiere’ e neppure un altro mercato promesso. L’immigrazione, rileva ancora, va letta come attore strategico nella cooperazione italiana coi paesi africani. Intanto si fanno incontri finanziati nell’hotel di lusso di Niamey per controllare l’immigrazione ‘irregolare’. Quella che assicura a valli e montagne di non scomparire nel nulla demografico.

L’articolo in questione è pubblicato dal giornale nigerino di opposizione Le Nouveau Républicain. Riprende un’intervista di Joshua Massarenti, giornalista di VITA/ Afronline, a Jean-Léonard Touadi. Il commento, invece, è frutto della mia indignazione.