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Renzi farà la fine di Berlusconi?

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Governo tecnico. Due parole che non fanno dormire sonni tranquilli a Renzi, ma che vengono sussurrate sempre più insistentemente negli ambienti di Bruxelles, un tempo amici del premier. Secondo molti osservatori siamo di fronte ad una rivisitazione del 2011, quando l’allora premier Berlusconi fu disarcionato da Palazzo Chigi per la crisi di credibilità che rischiava di condurre l’Italia sulla via del default. La crisi dello spread, in altri termini, quella stessa parola che torniamo a pronunciare in questi giorni e che ha fatto registrare un aumento del 20% in una sola settimana a questa parte. Dunque siamo ai titoli di coda dell’esperienza renziana? Forse non ancora, ma se si sommano tutti i segnali a disposizione è possibile individuare delle analogie con la caduta del governo Berlusconi ma anche delle differenze sostanziali.

Il contesto del 2011 vedeva innanzitutto un ruolo di ingerenza negli affari istituzionali da parte di Giorgio Napolitano non riscontrabile con quello dell’attuale Capo dello Stato, Sergio Mattarella. La figura di Re Giorgio e il suo piglio interventista hanno portato alcuni costituzionalisti a dichiarare che l’Italia per la prima volta dal 1948 sperimentava una forma di presidenzialismo de facto, con Napolitano che raccoglieva nel suo ruolo le due funzioni di Capo dello Stato e Capo di Governo. Mattarella ha un profilo notarile, si limita a verificare che i provvedimenti che gli vengono sottoposti abbiano quei requisiti di costituzionalità essenziali, e non interviene nel dibattito politico per indirizzarlo in una direzione precisa. A quanto pare gli ambienti di Bruxelles avrebbero già sondato il terreno per un’eventuale sponda del Presidente per esercitare delle pressioni su Renzi, ma avrebbero ricevuto in cambio un cortese e secco rifiuto.

Una situazione che sotto certi aspetti avvantaggia Renzi, che appare più sciolto e libero di agire di Berlusconi che al contrario doveva fare i conti anche con un attacco finanziario che aggrediva il suo patrimonio aziendale. La macchina si è certamente messa in moto, e i primi segnali si sono avuti lo scorso dicembre quando è emerso lo scandalo di Banca Etruria, e i media per la prima volta in due anni si sono accorti dell’esistenza di un potenziale conflitto di interessi del ministro Maria Elena Boschi, a causa della presenza di suo padre nel cda della banca toscana. Il crac della banca è sicuramente stato un primo segnale importante di rigidità operativa che Bruxelles ha inviato a Roma, quando è stato espressamente proibito il ricorso al Fondo di tutela dei depositi previsto dalla normativa italiana ma che secondo le istituzioni europee avrebbe configurato un aiuto di Stato alle banche italiane.

Con l’inizio del nuovo anno, i rapporti si sono ulteriormente deteriorati e per la prima volta dall’inizio del suo mandato, Renzi viene accusato da Juncker di non essere un interlocutore per la Commissione europea. I mercati stanno facendo la loro parte, mentre a Piazza Affari continuano fortissime perdite per MPS e Carige che rischiano di assestare un ulteriore colpo al sistema bancario italiano. Quello che emerge con chiarezza è l’automatismo di alcuni meccanismi che si mettono in moto quando si tratta di delegittimare politicamente un interlocutore considerato non più utile agli scopi che si vogliono raggiungere.

Bruxelles ha deciso di rimuovere Renzi dal suo incarico, e la finanza speculativa si è messa già all’opera per riportare lo spread a dei livelli di insostenibilità, ma questa volta l’attacco non potrà contare sugli interessi patrimoniali dell’attuale premier che potrà muoversi più liberamente. Una situazione che viene letta con attenzione proprio da quel Re Giorgio che fu protagonista nel 2011, in una recente intervista a Repubblica dove analizza puntualmente le differenza tra oggi e allora. All’epoca, infatti, c’era un’opposizione sicuramente più determinata a far cadere Berlusconi, mentre le opposizioni di oggi sembrano deboli e disorganizzate, e su questo basti pensare all’ennesimo suicidio che ha portato a termine il M5S sulla questione delle adozioni dei figli delle coppie omosessuali. Napolitano tenta anche di sedare gli atteggiamenti scomposti di Renzi che alimentano tensioni con le istituzioni quando “gli indirizzi delle politiche europee sono definiti in comune” e non possono considerasi come “ordini impartiti da un’entità esterna”.

Per cambiare l’Europa secondo l’ex presidente, è necessario passare dalla Germania e non contro la Germania, una situazione che difficilmente potrà realizzarsi perché contrastare lo strapotere accumulato dalla Germania in questi anni significherebbe violare le indicazioni in materia di bilancio che arrivano da Bruxelles, e la ribellione di Renzi non sembra essersi spinta ancora fino a questo spunto. Un fatto è certo: l’ex rottamatore venderà cara la pelle.