Cucina

L’ape fa le valigie e va in città: arriva il miele prodotto dalle api della Triennale di Milano

Cinquantamila api all'interno di una casetta ideata dal designer Francesco Faccin. Una casetta con un camino alto 4 metri e mezzo che lascia libero accesso all'arnia all'interno. Si parla di alveari sì, ma urbani

Una casetta con un camino alto 4 metri e mezzo che lascia libero accesso all’arnia all’interno. Francesco Faccin, designer industriale e Mauro Veca, apicultore urbano, hanno portato i piccoli insetti nella metropoli meneghina. Il loro obiettivo è per lo più didattico. I visitatori sono bambini e genitori. Dopo l’inaugurazione fatta per il Salone del Mobile 2015 e un’estate ricca di visite, ora le api sono state spostate per l’inverno. Il loro futuro? Potrebbe essere in Triennale o al Parco Sempione. Quello che è certo è che rimarranno in città, perché sono insetti cittadini, figli dell’apicoltura urbana. Ma che cos’è l’apicoltura urbana? Lo spiega ai lettori di FQ Magazine Francesco Faccin, il designer creatore della casetta in Triennale.

Francesco Faccin, che cos’è l’apicultura urbana?
Può essere un passatempo molto sano utile a sensibilizzare. Quello che facciamo non è finalizzato tanto alla produzione del miele, quanto piuttosto a riportare le api in ambito urbano. Ho cercato di dare al progetto fini didattici. Il mio obiettivo era abituare il cittadino a vedere animali di natura selvatici da vicino.
Diciamo che le api sono un pretesto per parlare altri temi.

Tipo?
Partendo dall’ape si possono fare un sacco di ragionamenti, per esempio sulla qualità dell’aria e del cibo. E’ significativo che gli animali selvaggi tornino ad abitare la città. La facoltà di Veterinaria di Milano ha usato il mio progetto per fare biomonitoraggio. Ora stanno lavorando a una pubblicazione scientifica che spiegherà gli studi fatti.

Una bella soddisfazione per lei.
Sì, perché è un progetto che cresce da solo. Pensi che mi hanno chiamato da Seul. Instaureranno in Corea le mie casette nei parchi. Per una metropoli acquistare un oggetto come questo è una scelta politica. Se una giunta investe dei soldi con un arredo urbano da mantenere in vita vuol dire che ha la volontà di prendersene cura.

Lei è un designer industriale. Come nasce la sua passione per le api?
Fino a due anni fa non sapevo nulla di api. Anche se sono sempre stato appassionato di natura selvaggia. Poi sono stato chiamato da Marva Griffin, colei che ha inventato il Salone Satellite all’interno del Salone del Mobile. Mi ha chiesto di interpretare liberamente il tema di Expo e io ho pensato subito alle api.

Come mai?
Perché in quel periodo stavo collaborando con una ONG di Haiti, che lavora sull’autarchia alimentare in luoghi dove è difficilissimo portare approvvigionamenti. Dopo aver studiato un po’ l’argomento api, mi sono reso conto che il miele è un alimento preziosissimo. E’ nutriente e viene prodotto facilmente, secondo metodi anche molto primitivi, come quello nei tronchi tagliati.

Quindi era possibile produrlo ovunque.
Esatto. Anche in città.

Come è stato l’approccio iniziale? Immagino che sentir parlare di miele urbano sia stato un po’ strano.
Si, all’inizio c’erano molte persone diffidenti, soprattutto i produttori. Alcuni non ne volevano proprio sentir parlare, ma poi hanno cambiato idea.

Ma c’è un produttore che ha creduto da subito nel suo progetto, giusto?


Sì. Si chiama Mauro Veca e di lavoro fa l’apicultore urbano. Lui è un imprenditore e vive producendo miele in città. Mauro ha posizionato le sue arnie all’interno di molti parchi urbani pubblici. Il suo quartier generale è nel Parco delle Cave.

Ma secondo lei perché molte persone temono le api?
E’ una paura irrazionale. Le api in realtà sono animali mansueti, non hanno istinto aggressivo, fino a che non vengono minacciate. Pensi che non c’è stato nessun caso di puntura in 8 mesi e nell’alveare c’erano ben 50.000 api.

Ora avete prodotto il primo Miele di Triennale, giusto?
Esatto. Abbiamo fatto 10 kg di miele. Non è moltissimo, dato che un’arnia può produrre in media 30 kg a stagione, ma essendo la prima volta non ci possiamo lamentare.