Società

Renzismo: di allenatori, finocchi, tweet e altre sciocchezze

Sarebbe meglio dimenticare, una volta per tutte, quello che eravamo. La memoria, in alcuni momenti, gioca brutti scherzi. Non è mai perbene, del resto, perché non colma i vuoti. Puoi sorridere o piangere al ricordo di qualcosa, certo, ma quel qualcosa resta tale: non c’è e non tornerà più. Io passo la vita a rimpiangere gli amori, quelli mancati e quelli terminati, e si può correre dietro al sogno (infranto) della politica e dell’attaccamento al bene collettivo, che non c’è più. Puoi interrogarti, senza ormai sapere più se sei di sinistra o meno: il ricordo mi dice solo che mi aiuta molto esserlo stato.

D’altronde, nella mia sinistra ideale, l’Italia avrebbe legiferato sulle unioni civili venti anni prima, al pari dell’Olanda, la Norvegia, o la Danimarca. Invece siamo rimasti tra gli otto Paesi in Europa dove non è possibile sposare persone dello stesso sesso e adottare bambini, contro i 28 che hanno già detto sì. Ma il dibattito è scarso. Siamo intrappolati in tutt’altre faccende. Apro i siti, guardo le notizie, e leggo che un allenatore di calcio (mi dispiace, non seguo la materia) ne ha offeso un altro dandogli del finocchio: e giù a capire se si tratti di omofobia, e se alla parola debbano seguire mesi di squalifica, vittorie a tavolino. Ho a cuore il primo problema, dei due allenatori, probabilmente abituati a quel linguaggio, me ne importa meno di niente. Io non ho mai dato del finocchio a nessuno, a casa mia non era parola contemplata.

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Ma è il magico mondo che galoppa verso il 2020. Quello dei 140 caratteri di Twitter, che poi saranno illimitati: scrivere tre parole con l’intento di dire tutto e non dire assolutamente niente. Ne fa buon uso il presidente del consiglio Matteo Renzi, che annuncia riforme che non ci sono, tagli alle tasse che però crescono, profusioni di ottimismo come fosse deodorante spray per il cesso. Un giorno sì e l’altro anche, Renzi è abbattuto da una morte “improvvisa”: ieri David Bowie, oggi Ettore Scola, e ha sempre parole di profondo cordoglio, senza rendersi conto che governa un Paese malsano, imprigionato dalle banche dei suoi amichetti, senza nessun fermento che coincida al dissenso (non è un caso che quei pochi che lo azzardano diventino gufi), o talvolta a un motivo per crescere. Renzi, ma forse sbaglio, sembra arroccato in un palazzo che è troppo grande e bello perché si possa lasciare sfitto. Nel frattempo Scola, sulle unioni civili, la sua parte l’aveva in qualche modo già fatta: Una giornata particolare, capolavoro che ha un pari solo in C’eravamo tanto amati, è un grande inno alla diversità, che, a fil di poesia, esce normale.

Il presidente del Consiglio ha un’altra storia, un’altra età, si entusiasma per la scena di Checco Zalone con l’orso polare, che – beninteso – può starci, è lui che non va oltre la sua personalissima propaganda. E noi, noi che l’abbiamo in qualche modo prodotto, il renzismo, con l’attenuante (non è poco) di non essere passati dal voto, tendiamo a voltarci altrove. Perché oggi abbiamo un bisogno di sfogare la questione con passione calcistica: lui, l’altro, il finocchio, l’offesa, la squalifica. Domani è un altro giorno. Avanziamo a suon di 140 caratteri e tiriamo a campare, è l’unica.

Quest’avvelenata, acidula e assolutamente mancata in tutte le sue parti, la uso per non dire, solo pensare con l’augurio di sbagliarmi che purtroppo questo siamo noi. Fino al giorno in cui non alzeremo la testa per guardare più in là del nostro portafogli resterà la memoria. Fino a quando la nostra vita civica e politica non assumerà un valore da perseguire, che sia profondamente sbagliato anche, come la Penelope dal vestito rosso, ma che ne valga la pena, vivremo di ciò che fu e non è più. Con l’intento di non capirci una ceppa.