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Terrorismo, a cosa servono i bilanci di fine anno?

A niente. Sono una pura convenzione. E sin qui potremmo pure starci, quello che è fastidioso è l’insinuazione nascosta che il bilancio serve come premessa ai buoni propositi per il nuovo anno, mentre tutti sanno che non saranno i buoni propositi che cambieranno il mondo. Fermiamoci ad analizzare la violenza. Nel post della settimana scorsa ho parlato di Al Baghdadi e Bachar al- Assad e del diverso modo di rapportarsi alla violenza, per il primo da mostrare perché purificatrice, per il secondo da nascondere come si fa in Occidente con la speranza di essere accolto più facilmente dal consesso internazionale e salvare il suo posto di potere.

 

Ma i miei lettori mi hanno ricordato giustamente che non sono solo quei due a detenere il monopolio della violenza. La lista è lunga e non basta citare i vari Putin, gli americani, i sauditi e non è il caso di continuare per non fare torto a qualcuno che potrebbe offendersi per non essere stato citato. E’ proprio vero che gli esseri umani, insieme alle scimmie, traggono nutrimento dalla violenza e dalla morte altrui. Questa è la vita reale! Quindi niente buoni propositi per il nuovo anno, ma una fredda analisi di ciò che sta avvenendo sul campo.

L’Isis, come avevo scritto precedentemente, è in forte difficoltà dopo aver perso le città di Tikrit, Baiji e Sinjar al nord di Baghdad e Ramadi, capo luogo della provincia dell’Ambar. A questa realtà la propaganda del califfo contrappone una presunta espansione in Arabia Saudita, Yemen, Egitto, Libia ed Algeria. Questi riferimenti sono contenuti nel messaggio che il 26 dicembre Al Baghdadi ha diffuso via radio nel quale si menziona anche Israele e Palestina per riproporre lo stesso cliché di sempre. L’Isis non ha dimenticato la questione palestinese, affermando che quel territorio ora conquistato da Israele sarà il cimitero di tutti gli israeliani. Vecchia retorica che non infiamma né le piazze, né gli animi degli arabi.

La gravità della situazione in Israele si commenta da sola. Impotenza di un governo palestinese a far valere le proprie ragioni, tracotanza di un potere, quello israeliano, che trova nella colonizzazione delle terre la sua ragione d’essere. Morte del processo di pace. Conclusione: tentativi disperati di eliminare gli israeliani con i coltelli, con gli investimenti con le automobili, con ogni mezzo contundente, anche con i giravite. Numero sproporzionato di morti tra i palestinesi di fronte a quelli israeliane. Un mio amico israeliano mi parlava ieri in una telefonata di auguri, della paura nel quotidiano che aveva invaso Israele, aggiungendo che era diversa dalla paura che si aveva degli attentati. Qui si trattava di non poter camminare per strada tranquillamente, di non prendere un mezzo pubblico senza la preoccupazione di essere assalito. Uno scenario di pura follia nel quale bene si inseriscono le manifestazione di gioia dei coloni israeliani che in occasione di una festa inneggiavano con i loro fucili alla morte di quel bambino palestinese bruciato vivo. Questa è la vita reale!

Al Baghdadi arriva tardi col suo richiamo alla questione palestinese che ormai non riesce a mobilitare più nessuno. Difficilmente avrà risultati rilevanti la critica che il califfo porta alla coalizione dei 34 stati arabi che si sono proposti di combattere l’Isis. Il significato di questa iniziativa voluta dall’Arabia Saudita sta nel fatto che si va determinando un isolamento ideologico dell’esperienza del califfato, a tutto vantaggio di quei paesi conservatori del mondo arabo, Arabia Saudita in testa, che possono tranquillamente reprimere e bombardare come nel caso dello Yemen.

Dinanzi a un ridimensionamento del Califfo, probabilmente assisteremo ad una coda ancora più violenta di quella a cui abbiamo assistito il 13 novembre a Parigi perché è più facile trovare qualche folle che si fa saltare in aria che riunificare la Umma. Anche questa è la vita reale!