Cronaca

Norman Atlantic, il caso Rina: supervisore per l’armatore e controllore per lo Stato. Ma dice no ai legali dei passeggeri

Chi ha supervisionato la costruzione del Norman Atlantic all’interno dei cantieri Visentini di Porto Viro? E chi ha svolto il ruolo di società di certificazione per conto dello Stato italiano? Lo stesso soggetto: Rina Services SpA, il braccio operativo di Rina SpA, controllata a sua volta dall’Ente Registro Navale Italiano e dai suoi amministratori che ne hanno comprato una minima parte di quote. Rina Services ha quindi seguito la costruzione del traghetto andato a fuoco mentre era in navigazione tra Igoumenitsa e Ancona il 28 dicembre 2014 lavorando accanto e nell’interesse dell’armatore e continuando a mantenere in classe la nave. Allo stesso tempo è sulla base delle ispezioni e valutazioni di Rina che l’Italia ha rilasciato certificati come il Doc (Document of compliance) e il Smc (Safety management certificate), che attesta che la società e la gestione a bordo operano conformemente alle disposizioni del sistema di gestione della sicurezza. Rina Services, sostengono alcuni, ha tenuto il piede in due scarpe.

Rina: “No requisiti minimi”. Ma al tribunale bastano
Quando però a fine novembre gli avvocati Stefano Bertone, Marco Bona e Silina Pavlakis – che rappresentano i familiari di 9 vittime e 75 passeggeri del disastro del Norman Atlantic – hanno chiesto 14 documenti tecnici della nave seguita fin dalla nascita dal Rina hanno ottenuto un diniego basato su ragioni formali. Nella lettera di risposta recapitata il 17 dicembre scorso, di cui ilfattoquotidiano.it è in possesso, la società afferma che l’istanza “non dà evidenza dell’affermata presenza del Sig. Alexandros Kofougiorgis sul traghetto e del suo decesso” né “della relazione di asserita parentela intercorrente tra lo stesso” e gli assistiti dal team di avvocati. Aggiungendo inoltre che la “procura speciale” in forza della quale i legali hanno avanzato la richiesta difettava dei “requisiti previsti”. Contattato, il Rina Services, confermando la notizia, precisa d’aver “già dato accesso” agli atti “oltre che alle autorità inquirenti, a soggetti privati le cui richieste possedevano i requisiti previsti dalla legge ed in presenza dei quali la consegna dei documenti è doverosa. L’unica istanza non accolta non presentava i requisiti minimi per l’accesso essendo in tale caso la consegna degli atti semplicemente non consentita”. Eppure l’incartamento presentato alla società genovese – sostengono i legali – è lo stesso con cui si sono costituiti nell’incidente probatorio in corso al tribunale di Bari.

“Collegamento molto stretto con la nave”
Scrivono gli avvocati: “Rina Services SpA, nell’ambito del rapporto privatistico con l’armatore Visentini di Navigazione Srl, ha rilasciato il certificato di classe a favore della motonave in oggetto al momento della costruzione della stessa in data 21 settembre 2009 e in data 1 settembre 2014 ha rinnovato tale certificato con nuova scadenza 21 settembre 2019”. Fin qui, il lavoro in favore della società armatrice. Ma allo stesso tempo, su delega dell’autorità italiana di bandiera, ha anche svolto, sottolineano i legali, “le attività propedeutiche al rilascio” di cinque certificati senza i quali l’Italia non avrebbe potuto permettere la navigazione del Norman Atlantic.

Non finisce qui, perché “Rina Services SpA, per via delle certificazioni e delle relative frequenti ispezioni e visite a bordo – si legge nella richiesta di accesso agli atti – aveva pertanto un collegamento molto stretto con la nave in questione e con la sicurezza della sua navigazione, ciò sin dalla progettazione e costruzione della stessa”. Così come con la Sorrento, “gemella” del Norman andata a fuoco al largo di Palma di Maiorca nello scorso aprile con modalità simili a quelle del Norman Atlantic ma in questo caso senza vittime.

Il “no” del Rina: non è la prima volta
“È piuttosto spiacevole che una società delegata dall’autorità marittima italiana neghi i documenti sia del Norman che del Sorrento invece di consegnarli immediatamente nell’interesse della trasparenza e dell’accertamento riguardo le modalità nelle quali si è svolta la tragedia”, spiegano i legali a ilfattoquotidiano.it  annunciando ricorso al Tar della Liguria per riuscire ad ottenere gli atti.

Era già accaduto nel 2006 quando la controllante Rina SpA si era opposta alla consegna dei documenti della Al Salam Boccaccio 98, nave costantemente “seguita” dal Rina e affondata dopo un incendio il 2 febbraio di 9 anni fa mentre navigava nel Mar Rosso causando circa mille morti. Il Tar diede però ragione agli avvocati che, ottenuti i documenti richiesti, hanno ora una causa pendente in Cassazione nei confronti del Rina alla quale hanno chiesto il risarcimento dei danni per la morte di circa 150 passeggeri che hanno perso la vita. Anche in quella causa, però, non mancano ostacoli all’indagine sulle responsabilità.

Pur avendo operato ed emesso documenti da Genova, dove il Rina SpA ha sede, la società si è appellata a un difetto di giurisdizione della magistratura italiana in favore di quella di Panama, dove la Al Salam Boccaccio era registrata. Nel caso del disastro ambientale della petroliera Erika, naufragata al largo della Bretagna nel 1999, Rina Spa – che anche in quel caso aveva rilasciato certificati per la navigazione – sostenne invece di dover essere giudicata in Italia e non dai tribunali francesi, nonostante la nave battesse bandiera maltese e il fatto si fosse verificato nell’Oceano Atlantico. I difetti di giurisdizione non vennero accolti e nel 2012 la Corte di Cassazione parigina ha condannato in via definitiva il Rina e la compagnia petrolifera Total a risarcire i danni per uno dei più gravi disastri ambientali della storia. “Si piegano le norme all’opportunità del momento” dicono i legali. Nella causa sulla Al Salam Boccaccio 98 Rina sostiene di non poter essere giudicata da magistrati italiani, perché Rina per una parte delle sue attività sulla nave sarebbe “Panama” e quindi uno stato sovrano giudicabile solo dal proprio sistema giudiziario”. Allo stesso tempo secondo l’avvocato Bertone “non ha avuto remore ad attivare una causa parallela, contro le stesse famiglie nostre assistite nei tribunali egiziani, presentandosi come società privata genovese, quindi smentendosi platealmente. E’ arrivato il momento che ci si interroghi seriamente sulle tattiche di questo gruppo”.

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