Diritti

Houston abbiamo un problema, la privacy non ci interessa più

pc_675

Chi non ha nulla da nascondere, non deve temere l’invasione della privacy da parte del Governo.

E’ questo uno delle decine di commenti postati, l’altro giorno, dai lettori di questo post nel quale raccontavo dell’approvazione da parte della Commissione Libertà civili e affari interni del Parlamento europeo della proposta di direttiva che stabilisce che i dati personali di oltre 300 milioni di viaggiatori aerei ogni anno saranno a disposizione delle forze dell’ordine e dell’intelligence per cinque anni per finalità di antiterrorismo.

Male non fare, paura non avere, insomma, come recita un vecchio proverbio.

Qualche decina di commenti su poche centinaia forse non sono un campione statisticamente rilevante per desumere cosa pensano gli italiani del diritto alla privacy ma sono probabilmente sintomatici di un comune e diffuso sentire secondo il quale la privacy conta davvero poco almeno quando a comprimerla è lo Stato e la finalità dichiarata è quella di provare a garantire un po’ di sicurezza in più in Europa.

E, infatti, in tanti, tra i lettori del post, pur prendendo atto che i dati destinati a finire nel database del “grande fratello” dei voli aerei europei saranno tanti e racconteranno davvero tanto di noi (da chi siamo a con chi viaggiamo sino ad arrivare alle nostre preferenze alimentari), scrivono, senza esitazioni, di non vedere alcun problema e non nutrire alcuna preoccupazione nel sapere questa enorme mole di informazioni a disposizione delle forze dell’ordine e delle agenzie di intelligence europee, se questo può servire per la sicurezza.

E, anzi, aggiunge qualcuno, ben vengano telecamere in ogni angolo.

L’utilizzo dei propri dati personali per fare pubblicità sembra infastidire molto di più di quanto non disturbi l’idea di essere “sorvegliati speciale” da parte delle pubbliche autorità anche se non si è fatto nulla.

In tanti, infatti, nel commentare il post si dicono ben disponibili a tollerare ogni genere di trattamento dei loro dati personali da parte delle pubbliche Autorità mentre si dichiarano esasperati dai trattamenti finalizzati all’invio di comunicazioni commerciali non desiderate e a “telefonate di disturbo”.

Spam e telemarketing, insomma, vengono percepiti come violazioni della privacy più gravi o, almeno, più fastidiose che la sorveglianza di massa.

E tra le righe di tanti commenti si legge anche una sorta di rassegnazione alla profilazione per scopi commerciali e all’avvenuta perdita, di fatto, della propria privacy che, oggi, renderebbe inutile se non impossibile scandalizzarsi se anche lo Stato diventa “ficcanaso”, peraltro, per una finalità nobile come quella dell’antiterrorismo.

Navigare tra i commenti in calce al post appare un esercizio educativo per chi voglia provare a capire cosa pensano davvero gli italiani – certamente non tutti ma molti – della privacy e quanto poco sono preoccupati della circostanza che il loro diritto alla riservatezza sia compresso per mano dello Stato. E’ un fenomeno che sembra meritare di essere raccontato forse persino di più della notizia che lo ha innescato.

Tanti tra i lettori si chiedono cosa mai un cittadino possa avere da nascondere davanti allo Stato per doversi preoccupare della propria privacy. E questa percezione sembra, almeno ad una prima lettura dei commenti, prevalere nettamente su quella di chi, viceversa, percepisce chiaro e forte il valore della privacy e i rischi legati a una sua sproporzionata compressione, anche quando giustificati da esigenze di sicurezza.

E, probabilmente, non c’è una percezione giusta ed una sbagliata ma ci sono solo due modi di interpretare la realtà, i confini della propria personalità e identità in modo diverso o, forse, più semplicemente, un elenco di priorità tra le preoccupazioni di ciascuno di noi che, come è naturale che sia, è differente da individuo ad individuo.

Eppure lo spaccato che esce dai commenti in calce al post dell’altro giorno è uno spaccato da indagare e approfondire tanto nelle cause che nelle conseguenze che è destinato a produrre. Perché, nel 2015, i più sembrano tenere alla privacy meno di quanto in tanti – difficile dire i più – ci tenevano in passato tanto da averla rivendicata e fatta ascendere a diritto fondamentale dell’uomo? E quali conseguenze produrrà l’innegabile crollo del valore del concetto di privacy negli anni che verranno? Perché è certo che un effetto lo sta già producendo e che ben altre e più rilevanti conseguenze arriveranno.

E, poi, forse, ci sarebbe da chiedersi se è o non è compito dello Stato provare a invertire questa tendenza tenuto conto che stiamo parlando di un diritto fondamentale dell’uomo come lo è la libertà di parola, il diritto alla salute o quello a non subire discriminazioni per ragioni di razza, di sesso o di religione.

Lo Stato può limitarsi a prendere atto da buon Notaio dei tempi che cambiano e, magari, spingersi – come, peraltro, sembra stia accadendo – ad approfittare di questo diverso sentire per comprimere la privacy dei singoli in nome, ad esempio, della sicurezza?

Guai a pensare di avere le risposte giuste in tasca ma sono domande che, probabilmente, è arrivato il momento di porsi.

Grazie ai tanti che hanno commentato il post per avermi fornito lo spunto per una riflessione importante e che, diversamente, avrei potuto sottovalutare io stesso.