Economia

Cambiamenti climatici, chi vince e chi perde: per gli Usa conto potenziale da 130 miliardi, a rischio rating di Caraibi e Asia

Standard and Poor’s prefigura forti impatti sui conti pubblici dei paesi più esposti a inondazioni e cicloni. Per Goldman Sachs ci guadagneranno i produttori di Led. Secondo Moody’s sono invece esposte al rischio climatico le obbligazioni delle società che estraggono e lavorano il carbone, oltre a quelle del settore petrolifero e automobilistico

Declinare la lotta ai cambiamenti climatici in opportunità economiche e scelte di investimento è probabilmente una delle leve più efficaci per raggiungere qualche obiettivo concreto. La consapevolezza del problema e dei rischi è per fortuna ormai piuttosto condivisa e diffusa. Del resto almeno alcuni dati lasciano relativamente poco spazio ai dibattiti. Le Terra è oggi più calda rispetto al 90% dei suoi 4,6 miliardi di anni di storia. Il 2015 risulterà molto probabilmente l’anno più caldo dal 1880, ossia da quando esistono rilevazioni attendibili. La temperatura globale quest’anno è superiore di un grado rispetto alla media del periodo 1850-1900, quindi a mezza via di quell’incremento di 2 gradi considerato il livello di innesco di conseguenze catastrofiche. Così, mentre alla conferenza sul clima Cop 21 di Parigi si cerca faticosamente un accordo che si preannuncia al ribasso, i grandi nomi della finanza internazionale iniziano a fare le loro valutazioni sulle conseguenze del riscaldamento globale e sui settori che risulteranno vincenti o perdenti per effetto di una più stringente politica ambientale.

Goldman Sachs guarda ad esempio con grande interesse alla produzione di illuminazione a Led che implica un risparmio energetico del 15% rispetto alle lampadine tradizionali. Nel 2010 la quota di mercato dei Led era dell’1%, oggi è al 28% e la banca d’affari statunitense si attende che raggiunga il 95% nei prossimi 10 anni. Pochi giorni fa le agenzia di rating Standard and Poor’s e Moody’s, accusate in passato di sottovalutare i potenziali effetti finanziari dei cambiamenti climatici, hanno diffuso nuovi studi sull’argomento. Utilizzando precedenti storici S&P ha simulato il possibile effetto sui rating sovrani di inondazioni o cicloni di natura “estrema” che statisticamente si verificano una volta ogni 250 anni ma che sono destinati ad aumentare di frequenza e intensità a causa dell’innalzamento della temperatura. L’agenzia ha calcolato il presunto ammontare dei danni in valori assoluti e in rapporto al Pil e da qui il potenziale impatto sui conti pubbliciI paesi più a rischio sono soprattutto quelli dell’area caraibica e dell’Asia sudorientale. Bahamas, Barbados, Repubblica Domenicana e Jamaica potrebbero dover pagare molto caro il conto dei cicloni mentre per Vietnam e Thailandia i pericoli arrivano soprattutto dalle inondazioni.

I disastri legati al surriscaldamento possono costare agli Usa 130 miliardi, a Olanda e Francia 3-4

Il costo dei disastri atmosferici non è trascurabile neppure per molti paesi industrializzati, a cominciare da Stati Uniti e Olanda, ma l’impatto sulle finanze pubbliche e il conseguente rischio di rating risulta in proporzione molto più contenuto. Alcune cifre. Il costo aggiuntivo di ipotetici disastri per effetto del surriscaldamento atmosferico viene indicato per gli Usa in circa 130 miliardi di dollari. Una cifra ingente ma relativamente modesta se confrontata al Pil del paese (circa 10mila miliardi di dollari) e pertanto con effetti trascurabili sul giudizio di rating del paese. Per il Brasile il “danno da surriscaldamento” viene quantificato in 37 miliardi, per il Giappone in 22 miliardi, per Olanda e Francia in 3-4 miliardi di euro. In Thailandia l’intensificarsi delle inondazioni potrebbe avere un costo di quasi 70 miliardi di dollari ma senza drammatiche ripercussioni sull’affidabilità finanziaria del paese. Chi invece rischia abbassamenti del voto a raffica sono paesi come Barbados, Bahamas, Bermuda, Repubblica Domenicana e Vietnam. Paesi dove un singolo evento catastrofico potrebbe comportare una riduzione del giudizio fino a 5 livelli.

Da Allianz stop a investimenti in gruppi che generano oltre il 30% dei ricavi dal carbone

L’altra big dei rating, l’agenzia Moody’s, si è invece preoccupata di individuare le obbligazioni societarie più esposte al rischio climatico. In prima linea ci sono i bond delle società che estraggono e lavorano il carbone, combustibile il cui utilizzo dovrebbe essere via via reso meno conveniente. A livello globale le aziende di questo settore hanno in circolazione obbligazioni per poco più di 500 miliardi di dollari. In seconda fila Moody’s individua otto settori che potrebbero risentire indirettamente dei cambiamenti atmosferici tra cui il settore minerario nel complesso, le raffinerie di petrolio e i costruttori di auto. Qui il conteggio dei bond sale fino a 1.500 miliardi di dollari. Infine altri 18 settori industriali presentano rischi più moderati e di lungo termine con un valore delle obbligazioni di 7.000 miliardi. Avranno probabilmente letto queste valutazioni nel quartier generale di Allianz. Il colosso assicurativo tedesco ha infatti deciso di congelare qualsiasi nuovo investimento in gruppi che generano oltre il 30% dei loro ricavi con attività legate al carbone. A dire il vero uno studio sempre di Standard and Poor’s ha rilevato che investire in società più “pulite” non ha sinora comportato significativi vantaggi in termini di guadagni. Anzi, è vero semmai il contrario. Tuttavia è verosimile che in futuro questo trend possa cambiare principalmente per effetto dei vincoli più severi imposti a chi inquina o punta su energie meno sostenibili. C’è però una grossa incognita che si chiama prezzo del petrolio. Quotazioni basse come quelle attuali invogliano infatti ad affidarsi al greggio e rendono poco convenienti gli investimenti in energie rinnovabili.