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In Paraguay come in Italia la speranza non è finita

Fernando Lugo

Ho incontrato stamattina, qui ad Asunción, capitale del Paraguay, Fernando Lugo, il dinamico ex vescovo che fu presidente della Repubblica per vari anni, dal 2008 al 2012, prima di essere detronizzato da un complotto dei partiti tradizionali, Blanco e Colorado, un bipartitismo perfetto, nel senso che non presentano alcuna differenza notevole quanto a programmi e propositi.

Un Paese piccolo, tradizionalmente dominato da un’oligarchia di latifondisti e soggetto alla fortissima influenza degli Stati Uniti, la cui ambasciata, come mi ha spiegato Lugo, fa il bello e il cattivo tempo nel Paese ed esercita irresistibili pressioni nei confronti del sistema politico. In effetti si può ben dire che, a partire dalla fine della lunga dittatura di Stroessner, anch’egli fedele burattino di Washington, avvenuta nel 1989, ogni cambiamento verificatosi nel Paese sia stato soggetto all’autorizzazione degli Stati Uniti, con la breve parentesi, per l’appunto, della presidenza di Lugo.

La solita vecchia storia. Gli interessi dell’imperialismo yankee e quelli degli oligarchi locali si incontrano per negare al Paese ogni possibilità di autentico sviluppo. Lugo, che è laureato in economia, sociologia e dottrina sociale della Chiesa presso l’Università Gregoriana, ha ricostruito a grandi linee, decennio per decennio, il rapporto tra Stati Uniti e America Latina, che da sempre costituisce un fattore chiave per comprendere gli sviluppi della situazione. Negli anni Sessanta il Dipartimento di Stato istituì, come risposta alla rivoluzione cubana e per evitare che altri Stati fossero rapiti dall’appeal che essa esercitava, la cosiddetta Alleanza per il progresso, ma di progresso non ve ne fu poi molto, tanto più che  negli anni Settanta arrivarono i dittatori militari.

Negli anni Ottanta fu stipulato il Trattato di Santa Fe, concepito da Washington come strumento per rivitalizzare il rapporto con gli Stati latinoamericani e smantellare ogni opposizione strategica, compresa la cosiddetta teologia della liberazione. Negli anni Novanta, il Consenso di Washington, carta magna del neoliberismo e latore di enormi disastri economici e sociali in tutto il mondo e in America Latina in particolare. All’inizio del Duemila, il fallimento del tentativo di instaurare l’ALCA, mercato comune emisferico sotto chiara egemonia statunitense. Al giorno d’oggi, il tentativo dell’amministrazione di Obama di recuperare egemonia nel subcontinente, senza disdegnare il ricorso al colpo di Stato, sia pure in forme “blande” e dissimulate.

Come ebbi occasione di scrivere su questo blog oltre tre anni fa, proprio il piccolo Paraguay, insieme all’Honduras, costituì lo scenario d’elezione per manovre di questo tipo, che qui ebbero successo. “Mediante le nostre politiche stavamo restituendo speranza al Paese, intervenendo su temi di interesse sociale quali le pensioni, la sanità pubblica e gratuita, l’istruzione. Ma quando abbiamo cominciato a mettere mano alla riforma agraria, si è scatenata la controffensiva reazionaria”.

L’occasione per votare l’impeachment di Lugo è stata in effetti fornita da una sparatoria a opera di ignoti nel corso di un confronto tra polizia e contadini organizzati durante l’occupazione di un latifondo, che provocò sei vittime tra i poliziotti e circa quindici tra i contadini. Una classica provocazione, come le tante che si sono registrate in tutto il mondo, dal Venezuela all’ Ucraina.

L’espressione utilizzata da Lugo a proposito del Paraguay è quella di “democrazia tutelata”. Gli Stati Uniti hanno compreso che per mantenere l’egemonia nell’emisfero devono farsi garanti degli interessi conservatori. In questo modo, però, contribuiscono al mantenimento delle ingiustizie e impediscono un vero sviluppo della regione. Una dinamica anche questa di tipo classico.

La partita tuttavia non è finita. Lugo continua ad occupare uno scranno senatorio e si mantiene viva nel Paese un’effervescenza sociale che non manca di contagiare perfino la base dei partiti tradizionali, specie fra i giovani. La vera alternativa, qui come altrove, è tra la politica intesa come strumento di arricchimento personale (l’attuale presidente , succeduto a Lugo, è pregiudicato per evasione fiscale, è, come Macri e Berlusconi, imprenditore di successo e si occupa di calcio, dispone di un enorme patrimonio, inoltre è sospettato di narcotraffico e lavaggio di denaro) e politica intesa come servizio e strumento di equità e rinnovamento sociale. Tra politici asserviti agli interessi dominanti e politici che, in stretto rapporto con la società, vogliono un effettivo rinnovamento. Alternativa che ritroviamo un po’ ovunque, anche in Italia, laddove al Renzi dei poteri forti dovrebbe finalmente contrapporsi uno schieramento alternativo che sappia restituire un futuro al nostro Paese e all’Europa. E’ davvero impressionante constatare come la globalizzazione riesca ad avvicinare situazioni fra loro lontane e non solo dal punto di vista geografico.