Cinema

Caso Mastrogiovanni: ’87 ore’ per trasformare la cura in decesso

Cantava canzoni anarchiche Franco Mastrogiovanni quando il 31 luglio 2009 fu “catturato” dalle forze dell’ordine sulla spiaggia di Mezzatorre, nel Comune di San Mauro del Cilento. Sottoposto al Trattamento sanitario obbligatorio, il 58enne maestro elementare eccentrico e con problemi psichici veniva internato nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Vallo della Lucania, dove avrebbe trovato la morte il 4 agosto.

La tragica e incredibile fine di un Uomo Qualunque, ripresa dalle telecamere di sorveglianza del reparto, iniziava il suo periplo mediatico dapprima grazie al reportage Mi manda RaiTre e poi nella messa in onda integrale sul sito dell’Espresso: la famiglia aveva deciso che il mondo doveva non solo sapere ma “vedere” quell’essere umano lasciato morire nudo e legato al letto ospedaliero – cioè in stato di “contenzione meccanica” – in preda a sofferenze inaudite. Diciotto le persone coinvolte nel crimine contro Mastrogiovanni: il processo in Appello contro i dodici infermieri è in corso, mentre i sei medici responsabili furono condannati in primo grado tre anni fa.

Impossibile tuttavia considerare chiuso un dramma di questa surreale portata. Per questo è nato 87 ore, un documentario di grande potenza sugli ultimi giorni di Franco Mastrogiovanni per la regia di Costanza Quatriglio. Un’impresa audiovisiva che definire coraggiosa è svilente.

A produrla è DocLab in collaborazione con Rai Tre, il Mibact e il patrocinio di Amnesty International Italia. Realizzato con Grazia Serra, nipote del “maestro più alto del mondo” (come veniva definito Mastrogiovanni) e su soggetto di Quatriglio insieme con l’Associazione A Buon Diritto, 87 ore è un’opera d’arte e di denuncia che si avvale dello sguardo meccanico delle videocamere sorveglianti per costruire un racconto che riguarda tutti noi, superando suo malgrado il delirante destino subito dalla vittima in questione. A dirlo è proprio sua nipote, che è a conoscenza di altre persone che hanno vissuto lo stesso calvario dello zio, nel sud e nel nord Italia, sintomo di una pratica regressiva della psichiatria che coinvolge non solo il nostro Paese.

Del tutto italiana, invece, è la “patologica pratica” di “assimilare il metodo di presa in carico dei malati psichiatrici alla cattura dei criminali”, denuncia Luigi Manconi di A buon diritto. Per la regista siciliana “ragionare sul film è stata impresa enorme sia emotivamente che intellettualmente”. L’occhio meccanico delle videocamere è assimilabile a quello dei monstre robotici medico-infermieri: “Il loro sguardo insieme alla contenzione ha portato Mastrogiovanni alla morte. Ma solo l’occhio umano può dire come lui sia deceduto. L’unico infermiere testimone con cui ho potuto parlare, rimasto anonimo e poi irrintracciabile, mi ha confidato che trovandosi ad assistere Mastrogiovanni non capiva quanto stava succedendo, vedendo della vicenda solo un pezzetto. È inevitabile il mio pensiero sia andato ai grandi massacri della storia voluti da menti criminali ma praticati spesso da persone che non capivano”.

Forse è azzardato rileggere La banalità del male di Hannah Arendt applicandolo al dramma del maestro del Cilento, ma qualcosa di vero può esserci: com’è possibile che (ancora oggi!) passi inosservata l’evidenza di un omicidio paradossalmente mascherato da terapia? Per questo 87 ore interroga la coscienza collettiva del presente. Il film, in prima mondiale stasera al Festival Arcipelago, uscirà nelle sale romane e milanesi il 23 novembre, per poi passare in seconda serata su Rai Tre il 28 dicembre.

Il Fatto Quotidiano, 7 novembre 2015