Cultura

Firenze ancora patrimonio dell’umanità?

Da molto se ne parlava e da alcuni giorni la notizia è stata ampiamente riportata dalla stampa fiorentina e in parte ripresa anche da quella nazionale: Firenze è sotto osservazione da parte dell’Unesco, che vuole appurare se la città mantenga i requisiti indispensabili per essere annoverata fra i siti Patrimonio dell’Umanità. L’analisi di Franca Falletti, storica dell’arte, che ha diretto la Galleria dell’Accademia dal 1992 al 2013.

Il testo della lettera dell’Unesco non è stato reso noto (perché questo segreto?), ma sembra che contenga anche richieste di chiarimenti riguardo al tunnel Tav e al progetto di attraversamento sotterraneo della città per la tramvia, le due “grandi opere” che incombono sulla sopravvivenza futura della nostra città. L’idea di scavare sotto il centro storico di Firenze e sotto il suo delicatissimo e inestimabile patrimonio monumentale è così assurda e delinquenziale che mi disturba solo parlarne. Qualsiasi mente dotata di un minimo di lucidità e di onestà non può non comprendere che non sarà mai possibile calcolare con sicurezza i comportamenti statici di edifici costruiti secoli fa con materiali ormai desueti e già fortemente minati dallo scorrete del tempo.

Comunque l’Amministrazione comunale si è allertata di fronte ad una minaccia che stigmatizzerebbe a livello planetario ciò che purtroppo è sotto gli occhi di tutti i cittadini, e cioè che la città ogni giorno di più va umiliando la sua identità culturale e svendendo il suo particolarissimo patrimonio di museo diffuso.

Il programma di Dario Nardella, il cui iter di approvazione è già iniziato presso gli organi di governo della città, è sintetizzabile in alcuni punti contro e alcuni punti per il decoro e l’identità della nostra città. I punti in questione sono tutti inerenti la lotta all’abuso di alcol, come se questo fosse l’unico elemento di degrado: devo immaginare che in realtà il sindaco non dimentichi la sporcizia e il dissesto delle strade, la mancanza di gabinetti pubblici e i conseguenti laghi di urina, la piaga delle piazze monumentali soffocate dai veicoli e invase di traffico.

Tralascio in questa sede il fatto che nei quattordici punti elencati ce ne siano di palesemente insensati in quanto inapplicabili, che ce ne siano almeno un paio che avanzano proposte di regole già in vigore, come pure il focale problema dell’inconsistenza dei controlli e delle sanzioni.

Lascio insomma ad altri l’analisi dei singoli punti del progetto in discussione, per portare il discorso verso l’ipotesi per una città radicalmente diversa che sia capace di tutelare stabilmente quel Patrimonio dell’Umanità che le è riconosciuto, ma ancor più di alimentarlo. Quello che dobbiamo, infatti, rispettare e garantire per le generazioni future è l’integrità del nostro patrimonio culturale, inteso come insieme di beni non solo fisici e materiali.

Entrare in questa imprescindibile ottica significa ricercare in ogni aspetto della vita cittadina un livello culturale degno di quello del passato, non significa vivere come nel passato. I menestrelli che in piazza Signoria distribuiscono i depliant dei locali non sono elementi identificativi della nostra cultura, ma solo della nostra incapacità a stare dentro il flusso vivo della storia.

Il nuovo teatro dell’Opera che procede nella quasi totale mancanza di una sua propria originale produttività (se non quella dei debiti, che produce in quantità esponenziale) uccide la nostra identità, come la uccidono i progetti sciatti e di infimo livello fai da te con cui si procede agli interventi sull’arredo urbano, non ultimo la faciloneria (o meglio l’incompetenza) con cui vengono prese le decisioni riguardo alla pavimentazione stradale: è di questi giorni il montare delle fondatissime polemiche sui sampietrini rimossi davanti alla stazione di Santa Maria Novella, ma cosa pensare dell’asfalto steso in via Pietrapiana, che era storicamente di pietra come dice il suo stesso nome? O del design dei nuovi dehors imposti in modo indiscriminato per ogni angolo di Firenze, come se piazza San Giovanni fosse urbanisticamente assimilabile a piazza della Repubblica o a piazza San Martino e arrivando in questa cecità a far distruggere la struttura ottocentesca di un caffè storico come Le giubbe Rosse, salvo poi ripensarci, difronte all’evidenza eclatante dell’errore commesso.

La scomparsa delle nobili attività di artigianato artistico e la conseguente perdita della sapienza manuale attraverso cui la materia veniva manipolata a fini creativi e non banalmente commerciali, sta già scavando un abisso di perdita di identità, faticosamente arginato da pochi giovani tenaci e disinteressati, che la Pubblica amministrazione non difende dagli arroganti assalti delle attività maggiormente remunerative.

Intendo, insomma, dire che se davvero vogliamo che i secoli in cui la nostra città era l’ombelico del mondo non siano passati invano e non si debbano considerare definitivamente morti, Unesco o non Unesco e al di là di ordinanze e divieti, è indispensabile operare una profonda e radicale inversione di valori che sposti il focus delle scelte su questa città dall’interesse privato a quello sociale e dall’accumulo di merci e denaro alla libera circolazione del pensiero creativo.

L’Ospedale degli Innocenti fu fatto progettare dalla più grande personalità artistica allora emergente, il Brunelleschi, senza passaggi di mazzette e non per contentare l’amichetto del potente di turno o il vecchio architetto incollato al suo scranno. Edera una struttura dedicata agli ultimi degli ultimi, un po’ come se oggi si facesse progettare a Renzo Piano un centro di accoglienza per immigrati.

La realtà è che oggi il Grande museo dellOpera del Duomo si vanta di essere “spettacolare”, perché “la bellezza è spettacolo”. La pensi così chi vuole, ma non la pensavano così le menti fondanti di questa città, coloro che l’hanno fatta diventare Patrimonio dell’Umanità per i quali la bellezza terrena era quella cosa alla cui vista “ci si ricorda della vera bellezza e si mettono le ali”.