Scuola

Scuola, mense sempre più “bio”: Nord meglio del Sud. Ma si spreca ancora troppo

I pasti che gli studenti italiani consumano a scuola sono sempre più biologici. A dirlo è la Fedagri-Confcooperative, sulla base dei dati Biobank: si è passati da 839 strutture di 10 anni fa a 1.249 del 2014, un incremento del 43% solamente negli ultimi 4 anni

Con circa 4 euro al giorno si mangia sempre più bio, qualche volta con frutta e verdura a chilometri zero ma si spreca ancora troppo. Sulla tavole dei nostri bambini, soprattutto al Nord, arrivano piatti sani e genuini. A tracciare la fotografia delle mense scolastiche è Fedagri – Confcooperative, che oggi presenta in occasione del convegno “Il bio nel piatto. Cooperazione biologica e ristorazione collettiva”, i dati raccolti per Biobank.

Se dieci anni fa erano solo 839 le mense in cui venivano proposti quotidianamente prodotti biologici, oggi se ne contano 1.249 con un incremento del 43% in quattro anni. Un vero e proprio boom della passione per l’agricoltura biologica: su un totale di 1,2 milioni di pasti serviti ogni giorno, in 290 mense, pari al 23% del totale, viene utilizzata una percentuale di almeno il 70% di materie prime bio. A guidare la classifica delle scuole consumatrici di prodotti senza organismi geneticamente modificati sono soprattutto le regioni Settentrionali: solo Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna registrano 588 mense con queste caratteristiche.

Buono anche il dato che arriva da una recentissima analisi di Cittadinanzattiva sull’uso dei prodotti stagionali: il 67% rispetta il ciclo della natura e non porta in tavola le fragole a gennaio. Vengono usati un po’ meno, invece, i contadini di casa nostra: solo il 35% delle cuoche delle scuole cucinano con prodotti a chilometro zero. Resta ancora molta la strada da fare, invece, sulla questione dell’acqua: quella del sindaco è usata solo nel 34% dei casi; il 64% preferisce avere la bottiglietta di plastica sul tavolo.

Ancora alta, invece, la media dello spreco: il 14% di cibo finisce nella spazzatura. Ai bambini sembra proprio non piacere molto di ciò che viene cucinato: in particolar modo verdure, pasta, pesce e minestrone di verdure. Tra gli alimenti più graditi, al primo posto della classifica c’è la pasta al pomodoro, a seguire la carne e al terzo posto la piazza. Il tutto per una cifra che varia di poco: secondo i numeri di Cittadinanzattiva presentati a Montecitorio la scorsa settimana, nei comuni del Nord e del Centro la fascia di costo più frequente è quella compresa tra i 4 e i 4,99 euro, mentre in quelli in quelli del Sud il costo giornaliero si abbassa tra i 3 e i 3,99.

Il costo della componente “cibo” è di circa un terzo della spesa totale di un pasto. “Lavorare per la qualità – spiega Actionaid che ha lanciato la campagna “La mensa che vorrei” – , ad esempio sull’introduzione di prodotti biologici, comporta necessariamente un aumento stimato tra il 5 e il 50%, una cifra che si può temperare lavorando sull’efficienza”.

Un sistema dove le differenze emergono nelle esenzioni per essere ammessi alla mensa. I dati più recenti raccolti da Save The Children raccontano di un’Italia a macchia di leopardo: nei comuni dove l’esenzione è prevista, i criteri e le soglie di accesso non sono omogenei. Si va da un’esenzione basata su un tetto ISEE di zero euro a città come Potenza dove fino a un anno fa vi era un’esenzione completa per i nuclei con ISEE fino a 8mila euro.