Ambiente & Veleni

Sottonutrizione degli uomini, nutrizione del pianeta (II)

Prima parte

Anche la mortalità infantile, derivante da cattiva igiene, mancanza di ospedali e medicine, da scarsa alimentazione della madre e del bambino, denota le condizioni di vita più o meno fortunate di un Paese. Impressionante è constatare che essa assume, in un Paese come la Sierra Leone, valori di quasi 50 volte superiori (181,6‰) a quelli registrati in Italia (3,8‰).


Riguardo a quest’ultimo indicatore, tuttavia, va sottolineato che la mortalità infantile, in poco più di 20 anni, è stata pressoché dimezzata, passando da 12 milioni (1990) a 6,9 (2012), come si può osservare dal grafico seguente.


E così, anche il ritardo nella crescita registrato dai bambini in queste aree di fame e sottosviluppo, sebbene ridotto nell’arco di poco più di 20 anni, passando dal 40% al 26%, è un altro effetto di questa situazione terribile, di cui il mondo dello spreco dovrebbe vergognarsi.
Ciò che colpisce è che alcuni vasti territori hanno conseguito, nello stesso periodo considerato, un risultato molto esiguo e di gran lunga inferiore rispetto ad altri. In particolare, l’Africa subsahariana è quella che meno di tutti ha fatto progressi: nel 1990 si trovava agli stessi livelli dell’Asia Orientale e del Pacifico (42%, contro 47%) e a ben 14 punti percentuali sotto all’Asia Meridionale (61%). Dopo 20 anni la situazione si è ridotta appena di 7 punti percentuali per l’Africa Subsahariana, a fronte di un calo di ben 30 p.p. per l’Asia Orientale e del Pacifico e di 22 per quella Meridionale, che ha raggiunto gli stessi livelli odierni dell’Europa Orientale e Centrale, partita da un indicatore molto più favorevole nel 1990, pari al 27%.

A fronte di tutto questo – fame, malnutrizione, ritardo nella crescita – che rappresenta per una parte del mondo un deficit, una mancanza (in primo luogo di cibo, da cui discende tutto il resto) sta un’altra parte del mondo il cui simbolo è l’abbondanza, benché, come evidenziato precedentemente, esistano anche qui zone marchiate dalle stesse carenze di quelle più povere della Terra.
Nei Paesi della sola Unione Europea lo spreco alimentare è ogni anno 180 Kg pro capite di alimenti: la stessa quantità con cui potrebbe vivere una persona affamata.


In questa statistica emergono – al negativo – in particolare i popoli del Nord Europa, con punte estremamente elevate, quali quelle dell’Olanda, con sprechi pro capite pari ad oltre 3 volte la media Eu 27 e del Belgio superiore a 2 volte tale parametro.

Sembrerebbe che tali comportamenti non siano addebitabili solo ad una condizione sociale (i Paesi più ricchi tendenzialmente sarebbero portati a sprecare più di quelli meno benestanti), ma anche ad un fattore culturale. Uno solo dei sette Paesi dell’area mediterranea (Cipro) è presente tra quelli spreconi (con valori superiori alla media Eu 27), mentre il 55% dei restanti venti Paesi della comunità europea, extra area mediterranea, si colloca nella zona degli scialatori.

Il seguente grafico indica una ripartizione degli sprechi elaborata dal Wri (World Resource Istitute) su dati Fao, che ne evidenzia proprio nell’Asia la massima concentrazione, essendo il continente che raccoglie oltre il 50% dello sciupìo alimentare nel mondo. Guardando questi dati, si potrebbe affermare che se ogni continente si comportasse virtuosamente, potrebbe sfamare quella parte dei suoi stessi abitanti che sono privi dei mezzi per soddisfare il bisogno primario della nutrizione.


Lo spreco non è solo un fatto di reddito (chi più ha, più sciupa), ma soprattutto culturale e, quindi, di civiltà e rispetto verso chi non ha, verso le risorse della Terra che in nessun caso devono essere sperperate.

[Continua]