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Evasione Iva, dopo Corte Ue la Cassazione conferma: ‘Processi continuino senza tener conto della prescrizione’

La Suprema Corte ha stabilito che i giudici non devono tenere conto dei termini fissati dalla ex Cirielli, che in troppi casi non consentono di punire i colpevoli. Quindi molti procedimenti che si sarebbero estinti potranno andare a sentenza. Ma la Corte d'appello di Milano ha intanto rimesso la questione alla Consulta

Gli articoli della legge ex Cirielli che regolamentano i termini di prescrizione vanno disapplicati nei processi sull’evasione Iva. A sancirlo è la Corte di Cassazione, che si è espressa dopo la sentenza con cui la Corte di giustizia Ue ha dichiarato la normativa italiana in materia incompatibile con il diritto comunitario. Secondo la Terza sezione penale, dunque, i giudici chiamati a decidere su violazioni tributarie in materia di Iva dovranno andare a sentenza anche se i termini, in base alle norme ora in vigore, sono scaduti. I reati tributari, ricorda Il Sole 24 Ore che dà notizia del pronunciamento, si prescrivono in sei anni, che vanno allungati di un quarto (un anno e mezzo) in presenza di una delle cause di interruzione previste dal Codice. Ma la Corte del Lussemburgo ha sancito che quell’anno e mezzo non è sufficiente e in troppi casi impedisce di punire adeguatamente i colpevoli di evasione.

La valutazione fatta dalla Cassazione, che non ha ancora pubblicato le motivazioni, avrà come conseguenza che molti processi destinati a estinguersi per scadenza dei termini potranno invece andare avanti. Ma l’esito non è sicuro. Nel frattempo infatti la Corte di appello di Milano ha deciso di chiamare in causa la Corte costituzionale chiedendole di pronunciarsi sulla legittimità dell’articolo 2 della legge che ha dato esecuzione in Italia al Trattato sul funzionamento della Ue. Quest’ultimo impone agli Stati di coordinare l’azione diretta a tutelare l’Unione europea contro le frodi, ed è a quell’articolo che la Corte del Lussemburgo ha fatto riferimento quando ha imposto ai giudici nazionali di non far valere i termini di prescrizione fissati dal legislatore italiano.

Secondo i giudici di appello lombardi però la disapplicazione potrebbe essere in contrasto con il principio di legalità in materia penale sancito dall’articolo 25 della Costituzione, quello in base al quale “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso“. Al contrario, se i termini di prescrizione si dilatano l’imputato potrà essere condannato per fatti che, in base alla legge in vigore quando sono stati commessi, sarebbero caduti in prescrizione. Per questo il 18 settembre la seconda sezione penale della Corte d’appello ha rimesso gli atti alla Consulta.