Televisione

Davide Mengacci, torna l’Highlander della tv nazionalpopolare: “Chi non si adegua sparisce, io sono ancora qui”

Aziendalista, uomo colto e sin troppo educato, televisivamente berlusconiano, il conduttore affronta la nuova avventura e il ritorno in grande spolvero in prima serata con l'understatement di sempre e con una modestia sincera che forse nasconde anche un po' di orgoglio: perché lui è ancora in tv, molti altri suoi colleghi no

Bentornati negli anni Novanta. Dopo 1992 – La Serie e il ritorno del karaoke, adesso tocca a Scene da un matrimonio, il programma cult condotto ormai vent’anni fa da Davide Mengacci e che raccontava, in una forma embrionale di reality pop-trash, il giorno più bello (o il più brutto, chissà) della vita di ogni coppia. Ebbene, Scene da un matrimonio torna da martedì 25 agosto, in prima serata su Rete4 e per quattro settimane, con una versione riveduta e corretta del format originale. È un nuovo capitolo dell’operazione nostalgia che Sebastiano Lombardi sta portando avanti con successo da quando è diventato direttore di Rete4. Alla conduzione, ovviamente, c’è ancora Davide Mengacci. Aziendalista, uomo colto e sin troppo educato, televisivamente berlusconiano (politicamente sono affari suoi), Mengacci affronta la nuova avventura e il ritorno in grande spolvero in prima serata con l’understatement di sempre. È un’ape operaia, Mengacci. Uno che non si è mai lamentato, neppure quando, giudicato ormai troppo “vecchio” per la tv del XXI secolo, era stato messo un po’ da parte. E non parlategli di rivincite o di riconoscimenti: “Lavoro perché ho una famiglia da mantenere. E mi adeguo al panorama mutato della tv italiana”. Adeguarsi, adattarsi per sopravvivere. Lo ripete spesso, durante la lunga chiacchierata, come un mantra darwiniano che, dietro tanta modestia (che appare sincera) forse nasconde anche un pizzico di orgoglio. Perché Mengacci dopo trent’anni è ancora lì, in tv, a raccontare i matrimoni dell’Italia nazionalpopolare. Molti altri suoi colleghi no.

Si sta prendendo un bell’azzardo, riproponendo un programma che non va in onda da vent’anni…
Non l’ho scelto io. Come avviene normalmente in televisione, il conduttore più accettare o rifiutare di realizzare quello che il suo editore chiede, ma la scelta è stata di Sebastiano Lombardi, direttore di Rete4, che è arrivato da poco ma ha già dato un impulso completamente nuovo.

Nuovo ma con lo sguardo rivolto al passato, in un certo senso…
Sì, ha riesumato un vecchio programma come il Maurizio Costanzo Show che sembrava ormai morto e sepolto e ha avuto successo; adesso fa la stessa cosa con Scene da un matrimonio.

Dobbiamo aspettarci la riproposizione del vecchio format tale e quale?
Del vecchio Scene da un matrimonio rimangono il titolo e io. Per il resto, è tutto completamente nuovo, cambiato, a cominciare dalla durata. Il format originale durava mezz’ora, qui siamo alle due ore. Il programma è completamente diverso, ma ricalca ancora più profondamente quella che era la sua matrice originale di reality. Scene dal matrimonio è stato senza dubbio il primo reality della tv italiana. In questo nuovo format, adeguato ai tempi e ai modi nei quali la tv viene fruita oggi, c’è un rinnovamento totale salvando il concetto originale che ha sempre fatto la fortuna del programma: la dimensione sentimentale del racconto della storia d’amore di due persone che hanno deciso di sposarsi perché si amano.

Lei ha parlato di matrimoni quando non se ne parlava, ha parlato di cucina quando non era ancora di moda, ha riproposto per primo, dopo Nanni Loy, le candid camera in tv; con Perdonami ha anticipato nientemeno che C’è posta per te. Mengacci, lei è un pioniere: è giunto il momento di prendersi un po’ di meriti?
Nel momento stesso in cui lei me lo dice, forse non serve neppure fare dichiarazioni o prendersi meriti…

Ecco, vede: lei è troppo modesto. Per esempio, non si è mai lamentato pubblicamente neppure quando magari le cose non giravano per il verso giusto e la sua professionalità non veniva valorizzata dall’azienda. Perché non si è mai arrabbiato?
Non è nel mio stile di vita lamentarmi, soprattutto dal punto di vista professionale. Ricevo un incarico dal mio editore e cerco di svolgerlo nel miglior modo possibile, tenendo conto dei miei mezzi e delle mie capacità. Se non ci sono le circostanze per lavorare, tutt’al più ci si inventa qualcosa di nuovo, ci si rimbocca le maniche, ma non ci si lamenta, soprattutto pubblicamente. È una questione di etica professionale.

E questo ritorno in grande stile, in prima serata, con un progetto importante, per lei è anche una sorta di riconoscimento alla carriera?
Il riconoscimento per il mio lavoro sono gli ultimi trent’anni di rinnovi contrattuali. Io lavoro perché mi piace e perché ho una famiglia da mantenere. Punto. Potrei fare l’ingegnere, il medico, il notaio, potrei fare qualsiasi mestiere nello stesso modo, con lo stesso impegno.

Com’è cambiata la tv in questi anni? Ci si ritrova ancora?
Ho un percorso professionale che copre trent’anni di storia della tv. Trent’anni in cui la televisione commerciale ha conosciuto un percorso ricco di avvenimenti. Poi la trasformazione epocale con l’arrivo del digitale, prima ancora con Sky. Io mi sento parte di un percorso molto ricco e molto variegato.
La televisione di oggi è molto diversa da quella che facevo negli anni Novanta, essenzialmente perché è cambiato il panorama economico nel quale la tv si muove. La torta pubblicitaria invece di essere spartita in sei fette, oggi è polverizzata in una miriade di emittenti, web, nuovi media. È un mondo che economicamente si è trasformato radicalmente, condizionando anche la qualità dei programmi. Per fare la tv ci vogliono molti soldi; se i soldi sono pochi, il prodotto si deve adeguare. Da qui a dirle che era migliore la tv di una volta ce ne corre e no, non lo penso. A mio parere, gli autore, i registi, i produttori, i conduttori si sono adeguati a questo nuovo modo di fare televisione. Io non posso dirle che la tv che faccio oggi è più brutta di quella che facevo nel 1985, non è vero. Adeguarsi è dell’uomo intelligente, gli altri scompaiono. Per me l’adeguamento è vitale.

È l’adattamento darwiniano…
Così è.

A detta di tutti quelli che si occupano di tv, lei è uomo coltissimo. Eppure ha sempre fatto una tv molto nazionalpopolare. Come mai?
È stata una mia scelta. Nel 1985, quando ho cominciato a fare tv, venivo da una lunga esperienza di pubblicitario. Ho studiato per quello, visto che mio padre aveva una delle prime agenzie internazionali in Italia. Ho studiato a Losanna e per dodici anni ho guidato l’agenzia di famiglia. Il pubblico al quale mi rivolgevo come professionista era un pubblico elitario, fatto di industriali, manager, dirigenti, quelli che gestiscono i budget pubblicitari. Però, d’altra parte, il mio lavoro di comunicatore era rivolto a chi poi compra i prodotti di largo consumo. Quando sono arrivato in tv, ho cominciato a fare una televisione elitaria, raffinata come erano le mie candid camera dell’epoca. Dopo qualche anno, mi sono accorto che c’era qualcosa che non andava. Tutti i miei colleghi facevano le telepromozioni o la pubblicità e io no, perché ero considerato un conduttore da RaiTre di Guglielmi, non a larga diffusione. I miei contatti col pubblico erano molto limitati.

E si ritorna all’adattamento…
Sì. Avevo voglia di rivolgermi a un pubblico più vasto e in parte mi ha aiutato Silvio Berlusconi. Quando ha visto il numero zero di Scene da un matrimonio, che io avevo fatto dissacrante e aggressivo come voleva l’autore Gianni Ippoliti, Berlusconi mi ha detto: “Mengacci, il programma mi piace ma, vede, in Italia il matrimonio è una cosa sacra. Lei non lo può prendere in giro così. Grazie e arrivederci”. Sono uscito da quel colloquio a pezzi, pensando che la mia carriera fosse finita. In realtà, Giorgio Gori, allora responsabile dei palinsesti, mi spiegò che non era così: Berlusconi aveva semplicemente chiesto di cambiare il modo di condurre il programma e di renderlo nazionalpopolare. La mia voglia di rivolgermi a un pubblico più vasto e questa spinta che mi diede Berlusconi, cambiarono completamente la mia immagine di conduttore televisivo.

Dopo trent’anni di onorata carriera, a chi deve dire grazie?
Innanzitutto a Silvio Berlusconi, dal punto di vista esclusivamente professionale. Poi devo sicuramente ringraziare tutti i dirigenti Mediaset e i direttori di Rete4 che si sono susseguiti. Da Giorgio Gori a Sebastiano Lombardi, passando per Franceschelli, Giovannelli, Scheri e Feyles.

Mengacci, tutti passano e lei resta…
Posso fare un gesto scaramantico?