Società

Pensiero unico e dissenso contro il dissenso

Pare che oggi l’unico dissenso consentito e, di più, promosso sia quello contro il dissenso, ossia contro il pensiero non allineato: come nella caverna di Platone, gli schiavi lottano in difesa delle loro catene e sono pronti a battersi contro chiunque voglia proporre vie di fuga dalla caverna, subito bersagliato dal pensiero unico come fascista, omofobo, stalinista, ecc.

Il pensiero unico politicamente corretto è ovunque dominante: esso silenzia, diffama e delegittima chiunque osi pensare diversamente. In politica, diffama come fascista chiunque non sia allineato. Nell’ambito dei costumi, demonizza come omofobo chiunque osi deviare dal percorso prestabilito dal pensiero unico. Per questa via, ogni pensiero non allineato è preventivamente reso impossibile, perché aprioricamente identificato con il manganello fascista o con la persecuzione dei gusti sessuali.

Antifascismo e lotta contro l’omofobia diventano, in questo modo, categorie persecutorie con cui silenziare, diffamare e discriminare chiunque non si attenga all’ortodossia, cioè a quel recinto chiuso dettato dal pensiero unico stesso, “sovrastruttura” ideale – direbbe Marx – per santificare i reali rapporti di forza e la “struttura” economica del fanatismo del mercato planetario. Si potrebbe dire – e già Pasolini l’aveva lucidamente colto – che vi è anche un uso fascista della categoria dell’antifascismo, quando essa – peraltro oggi in palese assenza di fascismo – viene impiegata per mettere a tacere chi abbia opinioni divergenti.

Emanazione diretta delle oligarchie transnazionali che dominano il pianeta, il pensiero unico politicamente corretto non è né di destra, né di sinistra, né di centro. Proprio in quanto “totale”, occupa ogni spazio e, di conseguenza, è di destra in economia (la “destra del denaro”, che tutto privatizza), di centro in politica (estremismo di centro, con annessa rimozione delle ali estreme non allineate) e di sinistra in cultura (abbattimento dei retaggi della cultura borghese, mito del progresso e della modernizzazione capitalistica, culto della crescita e di tutte le forme antiborghesi e ultracapitalistiche, ecc.).

Il segreto dell’odierna società di mercato sta nel non imporre con la violenza l’accettazione delle regole del funzionamento sistemico, secondo il modus operandi delle tradizionali formazioni totalitarie, bensì nel far sì che i cittadini le desiderino essi stessi, incapaci di percepirne il carattere vincolante e indotti dalla manipolazione organizzata a concepirle come compimento della sola libertà possibile, secondo il motto orwelliano freedom is slavery.

Se, nelle sue forme tradizionali, il potere disciplinava i corpi non potendo mai completamente sorvegliare la sfera inaccessibile dell’anima, oggi si è, invece, impadronito delle teste dei suoi sudditi. Il motto libertino foris ut moris, intus ut libet – emblema di una coscienza critica e antiadattiva, pur costretta al rispetto formale delle logiche del dominio – si è oggi rovesciato nel nuovo adagio foris ut libet, intus ut mores: si può fare tutto ciò che si vuole, senza alcun limite se non di ordine economico, poiché ciò che si vuole è onnipervasivamente sorvegliato e manipolato dal potere.

La società dei consumi, tramite le strategie della manipolazione, ma poi anche tramite l’opera costante e inflessibile dei sacerdoti del politicamente corretto (circo mediatico, del clero accademico, cosiddetti “intellettuali”, ecc.), impone un’ortodossia rispetto alla quale non è lecito dissentire, pena l’essere perseguitati non con cicuta o roghi, bensì con diffamazione, silenziamento e calunnie (le summenzionate categorie di omofobia, fascismo, stalinismo, ecc.). In questo modo, la stessa discussione critica dei punti fondamentali è resa preventivamente impossibile tramite l’identificazione dell’interlocutore con un pericoloso fascista o con un sanguinario persecutore dei gusti sessuali altrui.

Il primo gesto rivoluzionario, diceva Rosa Luxemburg, sta nel chiamare le cose col loro nome. È ciò che il potere mira a rendere impossibile, tramite l’uso di una “neolingua” il cui scopo è imporre l’ortodossia e neutralizzare il diritto e la possibilità stessa di pensare altrimenti. Chiunque abbia letto “1984” di Orwell sa bene come le sue parole, pensate in riferimento ai totalitarismi del 900, siano solo oggi pienamente realizzate nel totalitarismo lasco e flessibile della società dei consumi: “Non capisci Winston che lo scopo principale a cui tende la neolingua è quello di restringere al massimo la sfera d’azione del pensiero? Alla fine renderemo lo psicoreato letteralmente impossibile, perché non ci saranno più parole con cui poterlo esprimere. Ad ogni nuovo anno, una diminuzione nel numero delle parole e una contrazione ulteriore della coscienza”.