Società

Facebook, negli Stati Uniti il consultorio familiare è sul social

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Genitori che cercano e trovano informazioni utili su questioni familiari. E che sono propensi a rispondere pubblicamente a domande personali poste dai propri contatti, fino ad avere la percezione di ricevere dalla propria rete sociale un vero e proprio supporto emotivo. Non è ciò che sembra, non sono i risultati annuali dell’attività di un consultorio familiare, né del centro di ascolto parrocchiale. E’ ciò che emerge da una ricerca condotta negli Stati Uniti dal Pew Research Center e dall’Università del Michigan sul rapporto tra genitori e Social Media, con particolare riferimento a Facebook.

Secondo il rapporto, pubblicato il 16 luglio sulla base di interviste telefoniche condotte del settembre 2014, il 75% dei genitori americani con figli minorenni possiede almeno un account sui social. Facebook è il social più diffuso (74%), gli utenti genitori sono in media molto attivi e nella quasi totalità dei casi (93%) accedono quotidianamente alla piattaforma. Il dato statistico più caratterizzante della ricerca consiste senza dubbio nella ricorrenza molto più frequente con cui le madri statunitensi, rispetto ai padri, cercano sostegno sui social per questioni di ordine familiare.

Stando ai dati, le madri accederebbero più spesso e sarebbero più propense dei padri a interagire, a commentare buone e cattive notizie postate dai propri amici: il 53% delle madri statunitensi riconoscerebbe di cercare questo tipo di interazione. Postano, inoltre, contenuti su Facebook più frequentemente: le percentuali sono, rispettivamente, del 76% per la parte materna del campione e 61% per la paterna. Sempre più spesso, le madri dichiarano poi apertamente di dare e di ricevere forme di conforto nella propria attività social: atteggiamento in cui, con varie sfumature, ammette di riconoscersi l’80% delle intervistate. Sono le madri i soggetti più orientati a rispondere a una domanda posta sui social, qualora conoscano la risposta: lo fa il 77% delle utenti, mentre lo stesso dato per i padri si ferma al 64%. E’ complessivamente al 59% la percentuale di genitori statunitensi che avrebbero dichiarato di aver trovato sui social informazioni utili su questioni di paternità e maternità ed anche qui esiste una differenza fra madri e padri: il 64% delle madri si riconosce nell’affermazione, mentre la stessa cifra per i padri è al 48%. Significativo il rilievo di carattere economico: secondo il Pew Research, a percepire l’utilità di informarsi per via social sono i genitori con reddito annuale più basso.

Veniamo infine al dato più qualificante della ricerca, che non ha caso dà il sottotitolo al rapporto di Pew Research (“Parents and Social Media, mothers are especially likely to give and receive support on Social Media”). Il 42% dei genitori che usano i social dichiara “fortemente” di avervi trovato una forma di “supporto emotivo” in merito a una determinata questione familiare. Sintomo di un’evoluzione dell’utilizzo dei social, rileva il report: nelle indagini dell’anno precedente risultava che l’interesse nell’accesso era per lo più “ludico”, solo il 23% dei genitori vi cercava forme di conforto. E ancora una volta, il dato delle madri è più alto: è disposto a dichiarare inequivocabilmente di aver trovato un chiaro supporto nei social media il 49% delle madri, quasi la metà; la stessa percentuale, per i padri, è del 28%.

Qualche giorno fa, Mark Zuckerberg ha annunciato il raggiungimento di un miliardo e mezzo di utenti, ringraziando tutti for being a part of our mission and our community. Dati come quelli del Pew Research evidenziano senz’altro fino a che punto l’esperienza dell’utente sui social sia ormai articolata e fortemente aderente alla propria quotidianità. Allo stesso tempo, aprono questioni etiche sull’evoluzione della mission dei social e sulle reali condizioni di tutela degli utenti, perché siamo di fronte a interazioni del tutto nuove.

Se nessun giudizio, moralistico e non, è praticabile nei confronti degli utenti, ai social media un paio di questioni vanno sommessamente poste. La prima: quanto è consapevole l’utente delle conseguenze della condivisione sui social di informazioni così personali? In altre parole: sa di “regalare” alle piattaforme dati sensibili su di sé e sulla propria famiglia? Seconda questione: se un numero crescente di persone si rivolge ai social per informarsi e trovare consigli utili su questioni personali, chi garantisce la veridicità delle informazioni condivise? Se i Social divengono reti di consulenza collettiva – giornali, consultori e chissà cos’altro da qui a breve – chi fa il fact-checking sulle informazioni, chi protegge dalle bufale? Questioni che andranno affrontate in un futuro molto prossimo.