Economia

Turchia, il miracolo di Erdogan sta finendo: addio al boom economico

Il presidente guida il Paese da 13 anni, un periodo di stabilità politica e sviluppo. Ma i conti pubblici sono meno solidi di quanto sembra e si rischia la bolla immobiliare

Negli ultimi anni la Turchia è stata protagonista di uno sviluppo straordinario e, apparentemente, inarrestabile. Chiunque sia tornato a più riprese a Istanbul ha trovato una città in continua trasformazione. Centri commerciali faraonici che si moltiplicano, nuovi grattacieli che modificano lo skyline, infrastrutture sempre più audaci. Come il Marmaray, il tunnel ferroviario sottomarino più profondo del mondo. Una galleria che attraversa il Bosforo, correndo 62 metri sotto la superficie, e che collega la parte asiatica con il lato europeo della città.

In pochi anni la Turchia ha più che triplicato il Pil, passato da 230 miliardi di dollari nel 2002 a 820 nel 2013. È stata questa crescita, coincisa con la sua ascesa al potere, una delle chiavi della lunga e ininterrotta serie di successi elettorali di Recep Tayyip Erdogan. Questione di fortuna, dicono i più critici, per i quali il “Sultano” si è trovato in sella al momento giusto e ha raccolto anche i frutti di trasformazioni già avviate. Per i suoi sostenitori, invece, è lui il vero motore dello sviluppo, avviato grazie ad una nuova stabilità politica che ha favorito gli investimenti. E sulla stabilità è difficile obiettare: al governo per 13 anni consecutivi, Erdogan è stato identificato con il nuovo corso dell’economia ed ha potuto, così, intercettare anche i voti di elettori non del tutto allineati con le sue svolte conservatrici e con l’atteggiamento via via più autoritario. Un eccessivo rallentamento della crescita, insomma, è il fantasma che più inquieta il Presidente e i suoi. Ma questo spettro si aggira già da qualche tempo per la Turchia. Certo non si può dire che la spinta si sia esaurita, tuttavia, stanno arrivando segnali poco rassicuranti. Il Pil continua a crescere ma le performance del 2010 e 2011 (+9% e + 8,5%) sono lontane. Lo scorso anno l’incremento è stato del 2,9% contro il 4,2% del 2013 e, nei primi tre mesi del 2015, è sceso al 2,3%. Per quest’anno la Banca mondiale ha confermato le previsioni di un aumento al 3% e ha rivisto, al ribasso, le stime per il 2016 e il 2017, dal 3,9% e 3,7% al 3,5% per entrambe le annate.

Fin qui ci sarebbe poco da preoccuparsi. Nel frattempo, però, arrivano i dati relativi alla disoccupazione che, dopo essere aumentata per oltre due anni, ha superato il 10%. La Turchia è un Paese giovane, con un’età media sui 30 anni e oltre il 40% della popolazione ha meno di 24 anni. Un elemento positivo da molti punti di vista ma che crea problemi quando la crescita rallenta, rendendo impossibile trovare un’occupazione per il milione di giovani che ogni anno si affacciano sul mercato del lavoro. Questi dati si incrociano con un’inflazione che inizia soltanto ora a diminuire dopo essere andata sopra all’8% e con una moneta debolissima , soprattutto nei confronti del dollaro. La svalutazione della lira aiuta le esportazioni ma non bisogna dimenticare che la Turchia (che importa più di quanto esporta) ha un deficit cronico della bilancia delle partite correnti, finanziato soprattutto con investimenti stranieri, per lo più a breve termine. A chi ci viene in vacanza con in tasca euro o dollari il costo della vita può sembrare basso. Ma a Istanbul gli affitti sono raddoppiati negli ultimi 5 anni, secondo quanto riportato dal quotidiano Zaman. Nello stesso periodo l’Hurriyet ha fatto sapere che tre delle più famose strade cittadine sono entrate nella top 10 delle vie nelle quali gli affitti sono cresciuti di più, a livello mondiale, nell’ultimo anno. E l’elegante Istiklal Caddesi ha fatto segnare il più alto incremento nell’area Emea (Europa, Medio Oriente e Asia).

Con un costo della vita in aumento negli ultimi anni e lo stipendio minimo che non raggiunge i 350 euro al mese, i consumi sono sostenuti da un massiccio ricorso al credito, erogato fino a poco tempo fa con grande disinvoltura e al quale si cerca ora, in qualche modo, di mettere un freno. A questo bisogna aggiungere la crescita vertiginosa del settore costruzioni e immobiliare, finanziato anche con fortissimi investimenti pubblici. Il boom è visibile ad occhio nudo in gran parte della Turchia. Sia per quanto riguarda le infrastrutture (in molti casi effettivamente utili per lo sviluppo del Paese) che per il settore immobiliare. A Istanbul si vedono spuntare nuovi palazzi un po’ ovunque, si costruisce dappertutto, spesso in tempi molto rapidi. Questi due fattori, in particolare, secondo alcuni analisti sarebbero evidenti segnali di una bolla pronta ad esplodere. Prevedere gli sviluppi dell’economia turca è complicato. Di sicuro, che tocchi ancora ad Erdogan o qualcun altro, sarà fondamentale continuare a garantire la stabilità politica, soprattutto in un Paese che ha così bisogno di capitali stranieri. Il meccanismo, in fondo, non si è ancora inceppato e nessuno sa se e quando la macchina si fermerà. Ma l’economia della Turchia si sta scoprendo più fragile di quanto si credeva e le crepe sono segnali d’allarme. Il boom sta mostrando un lato oscuro sotto alla facciata scintillante che aveva abbagliato tutti.

di Marco Barbonaglia 

da Il Fatto Quotidiano del 22 luglio 2015