Cultura

‘Utopia del Buongusto 2015’, la rassegna teatrale che non è un’utopia

Andrea Kaemmerle 2

Con i capelli sparati che sembra vaghino a cercare ispirazione nel cosmo tipo Sputnik lanciato alla velocità della luce o scienziato pazzo immerso in una strabiliante scoperta scientifica, elettrificati nello spazio siderale, quella maglia che sempre un po’ si discosta che fa subito simpatia e vicinanza, campagna e casa, osteria e locanda da Faust, focolare e abbracci sinceri, Andrea Kaemmerle, cognome straniero e intelligenza tutta nostrana, viscerale, calda, toscana, ha gli occhi vivi e veloci di chi, ancora una volta, è riuscito a mettere in piedi una piccola impresa. Nuovamente, e da quasi vent’anni, porta sul piatto cinquanta spettacoli nella sua ‘Utopia del Buongusto‘, da fine giugno a fine ottobre, una rassegna che interessa gran parte delle province toscane (quest’anno si è aggiunta Grosseto), con racconti, storie, incontri di parola che vanno dalle aie alle fattorie, da luoghi dimenticati e tutti da scoprire a piccoli scorci, panorami e piazze, pietre antiche che profumano di saperi lontani, di ricordi e sedie impagliate.

Utopia è di tutti quelli che almeno una volta vi hanno affacciato il loro naso, hanno spiaccicato le guance alla finestra curiosi e goliardici, assetati e ancora bambini. E’ come innamorarsi. Una cena conviviale (abbinata ad un prezzo popolare), vino quanto basta e poi, come un’allegra carovana (tutt’altro stile rispetto ai villaggi preconfezionati al sapore di plastica e polistirolo) spostarsi per continuare a gustare la serata fatta di sorrisi e panche di legno, di suoni, di quell’aria fresca di brezza e vento caldo insieme che fa essere grati di stare al mondo, pieni, sereni. Ci si guarda negli occhi, ci si parla: siamo. Perché Utopia è così (il programma completo su guasconeteatro.it) è un attimo, un momento, un gioco, un soffio che rallegra, stupisce, rincuora, rinsalda una comunità attorno allo stare insieme, vicini. Godere è il filo rosso di fondo, che niente ha a che vedere con spericolatezze e arditezze moleste; qui ci si ascolta, si annusa l’aria, si osserva dietro l’etichetta, ficcando il naso dentro le piccole cose: la chiesetta sconsacrata, la strada non asfaltata, i riflettori posti dal miglior datore luci che esista, Dio, o la Natura, se volete. Ecco, il sentimento di fondo è la gratitudine di esserci, di stare, anche di sollazzare senza sensi di colpa, che qui non si ozia, ma si va con la lentezza dei giusti, la calma degli onesti, la placidità, la tranquillità del tempo tutto da prendere e mai da perdere.

E si alternano colorati viaggi in piccoli spazi che diventano tutt’uno, in un’alchimia magica e immaginifica che salda chi fa spettacolo, chi lo sta seguendo e la bolla di sapone, fragile, leggera, dolce, friabile, croccante, che tutto assorbe e attanaglia, racchiude e copre. Nasce, per il tempo della rappresentazione, che siano i Gatti Mezzi o Anna Meacci, che sia Paolo Migone o Gli Omini, una parentesi che ci accomuna e ci assomma, difficile da scindere, legata a doppio filo da un tenero affetto di semplicità e convivialità, cose che credevamo perdute tra l’asfalto e lo smog, nella velocità che stritola i sentimenti. “Utopia” non è un’utopia, è reale, tangibile, vera anche se nuovi tagli (hanno lasciato otto comuni sui venti presenti a supportare le passate edizioni) ne volevano minare le basi. E’ un miracolo che ancora ci sia, resista. Senza Utopia saremo persone peggiori, senza sognatori come Andrea Kaemmerle: “Sono i tipi eccezionali che fanno girare il mondo. Loro fanno i miracoli, mentre noi ce ne stiamo con il culo ammollo”, sentenziava Charles Bukowski.