Cinema

Neri Parenti, il re dei cinepanettoni: “La Giovinezza? Un film per vecchi. Le mie pellicole devono far ridere, anche a costo di essere trash”

Il regista dei blockbuster natalizi, che quest'anno dirigerà per Medusa "Vacanze di Natale ai Caraibi" con Christian De Sica e Massimo Ghini, racconta come è cambiata la commedia italiana, senza risparmiare qualche stoccata ai colleghi più acclamati del momento

Criticato, snobbato, bistrattato, accusato di strizzare troppo l’occhio al trash, il vero, autentico, unico cinepanettone, quello firmato Neri Parenti, si è preso, e ci ha concesso, una pausa, ma adesso è tempo di tornare. Così a quattro anni da Vacanze di Natale a Cortina, rieccolo nel listino di Medusa pronto a riempire le nostre sale dal 17 dicembre con il titolo Vacanze di Natale ai Caraibi e con De Sica e Ghini nel cast. Dietro la macchina da presa ancora Neri Parenti.

Sembra che quest’anno a Natale ci sarà un grande ritorno, quello del suo cinepanettone…
Sì, abbiamo riaperto bottega. Quando Medusa ha fatto la proposta a me, a Christian De Sica e a Massimo Ghini siamo stati tutti felici perché la chiusura della serie era stata decisa dal produttore Aurelio De Laurentiis e non da noi, che invece eravamo contrari.

Forse perché quelle Vacanze di Natale a Cortina nel 2011 non erano andate poi così bene?
Sì ma, voglio dire, tutto è andato meno bene, magari a rifarli oggi i 14 milioni di euro di Vacanze di Natale a Cortina… La cosa curiosa fu che poi l’anno dopo con Colpi di Fortuna facemmo 3 milioni di meno, ma tutti gridarono al grande successo.

Allora perché De Laurentiis decise di smettere?
Forse pensava che non ci fossero più idee, inoltre gli attori chiedevano dei cachet superiori, insomma una serie di cose per cui ritenne che l’investimento fosse troppo alto rispetto al ricavo e decise di cambiare rotta puntando su film più a basso costo, e sono nati Colpi di fulmine e Colpi di fortuna.

Perché i cinepanettoni costano…
Parecchio, a cominciare dai viaggi, tanto per dirne una, anche perché non è che facciamo film come Ci vediamo domani a Nemi, ma ce ne andiamo ai Caraibi. E poi c’è anche un’organizzazione complessa. Tuttavia è anche vero che ci sono dei vantaggi fiscali, legali si intende, non è che ci portiamo via dei soldi: ad esempio c’è il tax credit che si può fare sul posto e l’Inps che non si paga per i lavoratori all’estero, per cui alla fine le spese si compensano e ne vale la pena.

Del resto è solo una questione di soldi
Certo, si fanno per questo i cinepanettoni, per fare cassa, non certo per prendere dei premi o per ricevere critiche entusiaste. L’obiettivo è portare soldi nelle casse di una distribuzione che può così reinvestirli in opere prime o in prodotti più meritevoli dal punto di vista sia sociale che artistico. Ma non è che i guadagni se li intasca tutti il produttore, ci sono anche i soldi che vanno a finire al FUS, il Fondo Unico per lo Spettacolo, a rimpolpare le casse delle istituzioni di denaro pubblico che poi viene investito in altri progetti.

E poi nessuno si vergogna più di far parte del cast di un cinepanettone
E perché mai uno si dovrebbe vergognare? Io che ne ho fatti venti sarei tutto rosso. Lo dimostra il fatto che anche stavolta abbiamo un buon cast molto nutrito, anzi, un castone, oltre alla stessa squadra di sempre con Fausto Brizzi tra gli sceneggiatori e Christian De Sica e Massimo Ghini tra gli attori, e poi ci sono Angela Finocchiaro, Luca Argentero, Ilaria Spada e Dario Bandiera. Non male, direi.

Un tempo aveva Paolo Villaggio che con Fantozzi ha fatto storia
Sono state due saghe, quella di Fantozzi e quella dei cinepanettoni. Ho lavorato tanti anni con Vittorio Cecchi Gori e Paolo Villaggio, poi a un certo punto anche Fantozzi non si poteva fare più, un po’ perché Villaggio era un po’ in là con gli anni, un po’ perché l’avevamo fatto morire e l’avevamo già mandato in paradiso, all’inferno, sulla luna. Così con gli sceneggiatori Leonardo Benvenuti e Piero De Bernardi si decise di chiudere e nell’ultima riga del copione scrissero “e Fantozzi muore. Punto”. Poi però ci guardammo e qualcuno disse: ma siamo sicuri? Non lo eravamo perché poi lo facemmo tornare.

Torniamo anche alla rottura tra Christian De Sica e Massimo Boldi: ma lei ogni volta deve scegliere tra i due?
No, io non devo farlo perché ho ancora un contratto in essere con De Laurentiis che al loro litigio scelse De Sica e scartò, anche se è una brutta parola, Boldi, così abbiamo continuato a fare film con De Sica. Anche se poi Boldi ebbe una parte nel mio film dell’anno scorso Ma tu di che segno sei?

Nessuna possibilità di rimetterli insieme?
I due ormai sono incompatibili, come le coppie quando scoppiano: o si rimettono insieme subito, o è meglio lasciar stare. Mi ricordo ad esempio di Bud Spencer e Terence Hill o di Cochi e Renato, coppie scoppiate che riunite dopo tanti anni non funzionano più. Per De Sica e Boldi ormai sono passati dieci anni: le nuove generazioni non ne sentono la mancanza, ad averne nostalgia sono invece quelli che hanno trenta-quarant’anni e che al cinema non ci vanno.

Chi va invece al cinema oggi?
I vecchi, quelli che non sanno scaricare i film da Internet. E questo è il motivo degli incassi di certi film da vecchi, che anche se si chiamano La Giovinezza sono da vecchi. I giovani oggi i film se li vedono a casa grazie alle duemila piattaforme esistenti, su queste nuove televisioni dagli schermi giganti. È una cosa illegale, ma se nessuno li contrasta perché dovrebbero fermarsi? Oltretutto in un periodo di crisi come questo non è che un ragazzo si può permettere di andare al cinema a spendere 15 euro per un biglietto e una bibita.

Però i film si continuano a fare…
Perché c’è un mercato di un certo tipo, perché c’è la televisione, perché vanno su Sky. Però devono durare sempre meno e costare sempre meno. Adesso vediamo che succederà con questo Netflix.

Ma secondo lei il cinema italiano come sta?
Meglio, anche se i grossi film italiani in realtà sono stranieri, basta guardare gli ultimi tre. Del resto è anche normale per una questione di investimenti: nessuno avrebbe potuto fare il film di Paolo Sorrentino o quello di Matteo Garrone solo con risorse italiane. Invece mettendoci dentro degli attori stranieri diventa possibile fare delle coproduzioni e vendere il prodotto all’estero.

Quant’è cambiata nel tempo la commedia italiana?
Direi parecchio dagli anni Cinquanta ad oggi, andando sempre dietro al tessuto sociale del paese. Nel dopoguerra se ne faceva di un certo tipo poi nel periodo del boom sono arrivati i Poveri ma belli. Oggi invece si fa un po’ sempre lo stesso film, lui lei e l’altro, lei che perde il lavoro, va via la figlia e viene la mamma, tutte commedie due camere e cucina, ecco. Cambia molto anche per gli interpreti perché sì, ci sono le storie, ma in un prodotto di intrattenimento molto spesso sono loro che fanno la differenza: un’interpretazione di un Ugo Tognazzi è sicuramente molto diversa da quella di un Checco Zalone. Oltretutto oggi c’è questo travaso tra televisione e cinema che prima non c’era, almeno non fino agli anni Settanta. Però tutto sommato credo che per chi fa film comici l’importante sia far ridere, poi come cambiano i modi di farlo in fondo conta poco.

Lo sa che i suoi film vengono spesso definiti trash?
E meno male, il trash mi piace anche se va fatto con le dovute cautele, credo che dovrei scrivere delle istruzioni per l’uso. Del resto ho sempre detto che i miei film sono fatti per far ridere, a volte anche con qualche scorrettezza, qualche parolaccia, qualcosa che non piace a tutti, e infatti quelli che facevano più ridere hanno incassato di più. E poi sono film onesti, uno va a vederli sapendo già cosa trova, senza sorprese. Il nostro è un prodotto di evasione totale, anche se far ridere di questi tempi è un’impresa un po’ più dura.