Cinema

Lo Squalo 40 anni dopo, un film che smaschera le nostre paure

Dopo quattro decadi, la pellicola diretta da Steven Spielberg resta uno dei capolavori del genere, capostipite del fortunato filone degli shark movie. Un film che racconta i timori del subconscio e le difficoltà di una società in crisi

Ci sono fenomeni che non possono spiegarsi, destinati a rimanere confinati entro il concetto di simbolo. Esattamente quarant’anni fa il grande schermo veniva invaso dal più temuto dei predatori marini: lo squalo. Tratto dal celebre romanzo di Peter Benckley, e riadattato per lo script diretto da Steven Spielberg, Lo Squalo assurge a film pionieristico del genere shark movie, fungendo da apripista per un vero e proprio filone ancora fortemente apprezzato e amato dal pubblico di tutto il mondo. Lo squalo di Spielberg, ribattezzato Bruce dalla troupe di lavoro, si presenta enorme e terribile, perché altrettanto grandi erano le paure collettive di una parte del globo in quell’epoca (guerra del Vietnam, crisi economica). Il predatore marino terrorizza i bagnanti di Amity, sfidando la specie umana e dimostrando la sua supremazia in cima alla catena alimentare.

Per molti vero e proprio incubo, terrore inconscio che ha generato il timore dell’acqua, quello presente ne Lo Squalo non è soltanto una macchina di morte perfetta, come lo definisce l’oceanografo Hooper (Richard Dreyfuss) nel lavoro di Spielberg. Lo Squalo simboleggia infatti le paure che emergono dall’inconscio collettivo, e non a caso le profondità marine si prestano perfettamente quale simbolo archetipico: profonde, oscure, ignote, piene di insidie. Ancora, Lo Squalo rappresenta la ribellione della natura, la furia contro la mano dell’uomo che ne ha scatenato l’ira, non riuscendo poi più a fronteggiare l’acerrimo rivale. Non a caso, film di derivazione spielberghiana descrivono spesso ‘l’animale’ come frutto dell’errore umano, quasi sempre di matrice scientifica che, a seguito di esperimenti malriusciti, causano la perdita di controllo verso il loro stesso operato creando un disastro dai tragici risvolti. Lo Squalo diviene vera e propria metafora sociale: quella società strutturata e organizzata sulla base del classismo e della legge del più forte, dove a prevalere sono coloro che si rivelano spietati, non disposti ad accettare invasioni di campo (proprio come Bruce nel film, che divora chiunque invada il suo territorio) stritolando il più debole, la preda più facile. Non a caso, ad affrontare l’enorme squalo bianco non saranno belli e giovani eroi, ma uomini navigati e d’esperienza (Quint, Hooper e Brody), capaci di affrontare le insidie e l’enorme rivale (la vita).

Il sequel, Lo Squalo 2, confermerà tale interpretazione, facendo riversare l’istinto omicida dello squalo contro dei teenager, giovani inesperti che si affacciano alla vita e quindi facili prede da stritolare nella morsa sociale. Dietro di loro, a vegliare e a soccorrerli, sempre lui: il capo della polizia Martin Brody (Roy Scheider). Lo Squalo di Spielberg ha poi anche impartito dei dettami tecnici e registici fondamentali e assolutamente tributati dai sequel e dai derivati: la macchina da presa che in soggettiva, sulle note dell’inquietante tema musicale di John Williams, ci avvicina alla vittima prescelta dal feroce squalo è ormai una scelta stilistica comune all’interno del genere. Non esiste squalo che non entri in campo senza ricorrere alla soggettiva. Altro tratto distintivo riguarda le modalità d’uccisione del predatore: l’esplosione (proprio come nel film di Spielberg avvenuta per mano di Brody, che spara un proiettile contro la bombola d’ossigeno che lo squalo tenta di masticare) o il ricorso all’alta tensione (come avviene invece nel secondo, sempre per mano di Brody) sono ormai le morti più prevedibili e usate nel sottogenere shark movie, pur con qualche variante. Ma ne Lo Squalo, soprattutto nel romanzo, non mancano poi temi ricorrenti e sempre attuali quali la corruzione o gli intrecci politico-mafiosi e il business sporco, nel film rappresentati dalla figura del sindaco di Amity Larry Vaughn (Murray Hamilton).

Un film ormai assurto a titolo capostipite del genere horror e drammatico del cinema hollywoodiano, che meglio di qualunque altra opera simboleggia, attraverso le fauci micidiali di un grande squalo bianco, tutto ciò che di pericoloso si insidia nella società umana ponendo un confronto, come mai prima è stato fatto attraverso la Settima arte, tra la ferocia naturale e quella umana. Lo Squalo è un film che va oltre i canoni del cinema orrorifico. Jaws, questo il titolo originale, parla di noi.