Società

Stereotipi: essere uomo tra gli uomini

Essere uomo tra gli uomini può essere davvero impegnativo nella quotidianità, fuori dal mio ambito di lavoro, dove ho relativamente vita facile grazie al contesto sensibilizzato in cui mi trovo, ma può essere anche molto gratificante, scopro sempre più volentieri che, almeno in parte, questo può dipendere da me. Spesso mi sento distante da quelli che sono i normali discorsi tra uomini, se non necessariamente la cosa riguarda i contenuti, quasi sempre riguarda le modalità. Nello stesso tempo mi sento attratto da una gentile, ma ferma presa di distanza o, nel migliore dei casi, da un possibile confronto, sono libero di mettermi alla prova, non ho niente da perdere, ma eventualmente tutto da guadagnare se riesco a esprimere la mia posizione senza retrocedere. Accetto la sfida o forse ormai la pretendo, “sono abbastanza uomo” da reggere una eventuale esclusione dal gruppo, anche se in realtà, se proprio butta male, sono io che mi escludo. Di solito però, se mi so porre ed esprimere adeguatamente, posso forse non venire compreso, ma venire comunque rispettato. Mi sento sicuro di me e delle distanza che riesco a definire, questo passa e paradossalmente sembra creare vicinanza. Non è sempre così semplice come lo sto scrivendo e mi capita di perdere la sfida, ma ho chiaro che io sono un elemento intimamente legato al risultato ottenuto. Per gli altri uomini non è semplice capire cosa sta succedendo, e come mai non mi unisco alle solite modalità di discussione quando, ad esempio, si parla di uno degli argomenti dove certi modi stereotipati sono la costante: le donne.

Lo psicologo americano Michael Addis parla di “vigilanza sulla mascolinità” intendendo la tendenza degli uomini a vigilare tra di loro reciprocamente sui comportamenti considerati maschili, punendo qualsiasi forma di deviazione dalle norme di genere culturali. Chi devia viene preso in giro ed umiliato e non è raro si possa arrivare anche a forme di violenza fisica. Questo fenomeno molto frequente in adolescenza non è però raro in età adulta, anzi.

Ho spesso esperienza di “blanda” vigilanza sulla mascolinità quando mi trovo, per qualche motivo, in nuovi gruppi di uomini e ci si comincia a conoscere, la vigilanza è un buon modo per saldare i rapporti ed essere sicuri di avere qualcosa in comune, magari una battuta sessista mette tutti a proprio agio, si parla la stessa lingua, ci si può capire, è rassicurante, “siamo tutti uomini qui dentro vero?” è la domanda di sottofondo.

Per un adolescente può essere difficile venire fuori dallo stereotipo probabilmente perché innanzitutto impensabile, la norma la decide il gruppo, anche se si devia e si viene puniti dopo ci si può sentire sbagliati ed in colpa. L’adulto da una parte possiede maggiori strumenti per deviare limitando i danni, dall’altra però è anche vero che certi stereotipi possono essere troppo radicati per pensare soltanto che siano realmente un problema.

Io mi sento privilegiato, in linea di massima ho consapevolezza e capacità di assumermi la responsabilità delle mie convinzioni, almeno il più delle volte, prevedendone, in una certa misura, le possibili conseguenze, non c’è interazione con il maschile che non mi metta in discussione e che non sia stimolo di riflessione, la deformazione professionale è ormai la mia forma mentis perché ovviamente circa la metà delle mie interazioni coinvolgono gli uomini.

Ho un gruppo di riflessione sul maschile “Diversa-Mente Molteplice, Riflessioni a Passo d’Uomo” che mi coinvolge e mi entusiasma, ma siamo ancora pochi e non basta, prevenire e sensibilizzare non possono essere azione di un singolo o di poche realtà, anche se da quelle necessariamente si parte. Però di una cosa sono convinto, se una riflessione personale e condivisa funziona per il singolo e per il piccolo gruppo, questa potrà funzionare anche per contesti sociali più allargati, sta a noi del settore e alle politiche crearne le possibilità.