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Sblocca Italia, il decreto attuativo non c’è ancora. Rischio Far West per inceneritori

Complici le imminenti amministrative, la norma è fuori tempo massimo. Ma intanto gli operatori si stanno muovendo e gli impianti potrebbero non rispettare i requisiti europei. Wwf: "Spreco di risorse pubbliche e un prelievo forzoso nelle tasche dei cittadini"

Per quanto paradossale possa sembrare, il decreto Sblocca Italia – convertito in legge diversi mesi fa – ha aperto un pericoloso vuoto legislativo su una materia molto delicata: gli inceneritori. E i vuoti legislativi, in Italia come altrove, portano al Far West. La legge che stabilisce la strategicità degli impianti di incenerimento dei rifiuti è infatti legge a tutti gli effetti. A mancare sono ancora i decreti attuativi, come ad esempio quello relativo alla mappatura degli impianti esistenti e di quelli già autorizzati e l’indicazione degli eventuali nuovi impianti da realizzare per coprire il fabbisogno nazionale residuo. Il decreto doveva arrivare per la fine del 2014, poi per l’inizio del 2015, ma ad oggi non si è ancora visto nulla. E siamo ben oltre i termini stabiliti (90 giorni dalla conversione in legge dello Sblocca Italia). Al ministero dell’Ambiente rispondono che c’è effettivamente un ritardo, ma che il 20 marzo una bozza è stata presentata alla Conferenza Stato-Regioni ed è tornata indietro per modifiche: “Pensiamo di riuscire a chiudere il cerchio entro la fine di giugno”, dicono. Sulla natura delle modifiche, così come sulle ragioni dei ritardi al ministero però non si sbottonano, ma almeno sui secondi ha certamente giocato anche l‘imminenza delle elezioni regionali. Tirare fuori un elenco di quattro-cinque (o magari più) nuovi inceneritori da realizzare potrebbe non essere il miglior biglietto da visita elettorale per il governo, tanto più a fronte di un’Europa che sulla materia rifiuti si muove in tutt’altra direzione rispetto all’incenerimento e che nei confronti dell’Italia ha aperto ben più d’una procedura di infrazione.

Così il decreto arriverà forse a giugno. O magari a luglio. Ma la legge è già legge e tanti operatori, forti dell’assenza di questo così come di altri decreti attuativi, si sono mossi d’anticipo per ottenere le autorizzazioni. Obiettivo: vedersi riconosciuto pressoché in automatico il passaggio da impianto di “incenerimento” per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (D10) a impianto “a recupero di energia” (R1). Non è una questione di lana caprina: per i proprietari e i gestori degli inceneritori fa la differenza fra perdere soldi o guadagnarne perché l’articolo 35 dello Sblocca Italia permette agli impianti R1 la saturazione del carico termico incenerendo anche i rifiuti urbani provenienti da altre Regioni, così come i rifiuti speciali pericolosi. Prima era vietato. Ora invece i rifiuti possono viaggiare trasformandosi in oro per chi li brucia e anche per le Regioni che ospitano gli inceneritori trasformati in impianti strategici di preminente interesse nazionale, visto che la legge prevede che alla Regione vadano appunto 20 euro per ogni tonnellata di rifiuti smaltiti di provenienza extraregionale, per un totale di milioni di euro di introiti aggiuntivi.

A pagare il conto saranno i cittadini delle Regioni non (ancora) dotate di inceneritori, che con ogni probabilità si vedranno aumentare la tassa sui rifiuti, mentre chi abita nei pressi degli inceneritori subirà un aggravio dei rischi per la salute. Ma, come si diceva all’inizio, ai danni potrebbe aggiungersi anche la beffa delle autorizzazioni indebite, perché in assenza dei decreti attuativi (e dei correttivi che dovranno essere introdotti) gli operatori stanno ottenendo la trasformazione in “impianti a recupero di energia” (R1) anche per inceneritori che non rispetterebbero i requisiti europei. “Nel 2008 una direttiva europea ha stabilito i parametri per il calcolo dei livelli di efficienza di recupero del contenuto energetico dei rifiuti urbani – spiega il WWF di Forlì – ma l’Italia, nel recepire la direttiva Ue, ha modificato i parametri di calcolo a proprio vantaggio”. Il risultato? Da noi tutti gli inceneritori possono appunto “diventare d’ufficio insediamenti strategici di preminente interesse nazionale”, in aperta violazione alla normativa Ue. E infatti Bruxelles è già intervenuta, ricordano al WWF di Forlì, intimando all’Italia di riallineare i parametri con quelli della direttiva comunitaria onde evitare l’ennesima apertura di una procedura d’infrazione sulla questione rifiuti.

Il ministero dell’Ambiente, nella sua bozza di decreto, avrebbe introdotto i correttivi richiesti da Bruxelles, ma il decreto non è ancora stato emanato mentre l’iter amministrativo è andato avanti sulla base dei vecchi – più favorevoli – parametri. Così il WWF e altre associazioni hanno presentato ricorso alla Provincia contro l’autorizzazione dell’inceneritore di Forlì che “passerebbe dal bruciare 120mila tonnellate l’anno di rifiuti solidi urbani a 180mila tonnellate di rifiuti di qualunque genere provenienti da tutta Italia”. Un problema, quello di Forlì, comune a quello di molti altri inceneritori presenti in Italia. Quanto alla costruzione di nuovi impianti, sarà interessante vedere che ruolo giocherà l’Enel che potrebbe cogliere la palla al balzo dell’articolo 35 per trasformare alcune sue centrali obsolete in inceneritori a recupero di energia: si parla di Montalto di Castro, di Porto Tolle e della Sicilia, Regione peraltro priva di inceneritori e che smaltisce sostanzialmente tutto in discarica. Ma vi sono anche diverse ex municipalizzate che intendono realizzare nuovi inceneritori, con investimenti per centinaia di milioni di euro. “La costruzione di nuovi impianti – osservano dal WWF nazionale – non solo non è strategica, ma anche uno spreco di risorse pubbliche e un prelievo forzoso nelle tasche dei cittadini, che dovrebbero contribuire a pagare la realizzazione e l’esercizio di impianti rispetto ai quali è previsto un sempre minore impiego”. Inoltre, tra iter autorizzativi e vera e propria realizzazione “ci troveremo di fronte a impianti che entrerebbero in funzione alle soglie del 2020 e che – per essere ammortizzati – dovranno operare almeno fino al 2050”. Una follia, anche alla luce del fatto che sui rifiuti l’Unione europea intende portare il riciclaggio al 70% entro il 2030 e dal 2025 entrerà in vigore il divieto di trattamento termico per tutti i rifiuti che risultino riciclabili. Chi si farà carico del mancato ammortamento dei nuovi inceneritori “strategici” che si intendono costruire e che tra breve non si potranno più alimentare?