Società

Università: studenti ‘matti’, ciarlatani. Morte e vita

alessandroQuesto è un post un po’ off topic, ma in fondo prende le mosse dall’università, che fra le altre cose è – non dimentichiamolo – un punto d’incontro fra esseri umani. Ho sempre pensato alle molte storie che si nascondono dietro ai volti freschi, alle magliette fantasiose, agli atteggiamenti dei miei tanti studenti. Mi è già capitato di dire qui che invidio i colleghi delle superiori per la loro possibilità di un contatto più umano; ma ho suscitato un commento acido (a cui ho risposto) perciò non torno più su questo punto. Dirò solo che tante storie emergono sporadicamente, magari in coda a un ricevimento studenti o dopo l’esame. Ci sono però personaggi che già nell’aspetto rivelano una storia anomala.

I dipartimenti di Matematica attirano due categorie particolari: per iscritto attirano i dilettanti che credono di aver risolto grandi problemi (e a loro raccomando la mia pagina di consigli); in presenza attirano quelli che rozzamente vengono chiamati i “matti” (attenzione: non “scemi”, c’è una bella differenza). Questi sono normalmente studenti attempati, singolari nell’aspetto e nelle movenze, che si aggirano per l’edificio per anni senza che si sappia bene cosa ci stiano a fare. A Bologna ne abbiamo addirittura tre; forse battiamo perfino Pisa!

Uno di loro, Alessandro, è mio amico. Mio coetaneo o quasi, metà cranio occupato dalla fronte, il resto alla Casaleggio, sguardo inquietante che spaventa le ragazze del primo anno; e una mente inconsueta e un gran cuore. Ogni tanto Alessandro mi porta un teorema che gli è piaciuto, rifatto e riscritto con la sua grafia arzigogolata. Ogni tanto mi lascio impezzare da lui perché mi offre sempre un punto di vista diverso, sia sulla matematica sia sul mondo. Quando seppi che aveva scritto un libro gliene chiesi una copia; felice, me la portò con dedica. Ieri è venuto a chiedermi cosa ne pensavo.

Il libro racconta la storia tragica di Alda, la sua donna, in forma di un diario di lei. La diagnosi di carcinoma del seno è già presente dall’inizio del libro; in mezzo c’è la loro relazione, prima esaltante, poi presto minata da un dissidio profondo: lui che insiste perché si faccia operare, lei che si affida a un centro di medicina alternativa. E allora via col libro “Di cancro si vive” e con la “natura psicosomatica del cancro” e con Euforbia, Colchico, Vinca e “visualizza ogni giorno la tua guarigione“. Lei allontana l'”energia negativa” di Alessandro, con sofferenza di entrambi. Poi invece di sparire il mostro cresce. Il riavvicinamento dei due e il riconoscimento della schifosa truffa arrivano purtroppo tardi. E allora il calvario prosegue fino alla annunciata singolarità, come la chiama lui.

“Cosa ne penso, Alessandro? Mah, lo stile è un po’ particolare, ma la testimonianza è davvero forte”. Gli racconto che sono membro del Cicap e quindi molto sensibile ai disastri delle pseudoscienze; gli racconto di come mia moglie, medico dell’Ant, abbia più volte dovuto assistere, impotente, dei pazienti che s’intestardivano col metodo Di Bella o altre pseudocure e rifiutavano soluzioni con statistiche favorevolissime; e di altri medici con storie simili. Gli chiedo perché abbia scelto quel titolo, Il miracolo di Via Fulgosio, che faceva anzi supporre miracolose guarigioni in extremis. Lascio la parola a lui.

“Via Fulgosio è dove Alda ha passato gli ultimi anni. Il miracolo è il libro stesso: una morta che scrive il suo diario attraverso le mie mani. Il miracolo è l’avvertimento che vuole urlare a tutti. Il miracolo è che attraverso questa sua voce Alda vive ancora in me. Pazienza se non c’è più il suo corpo: le presto il mio. Un po’ è inferno, un po’ è paradiso; ci guadagno o ci perdo? Mah, più infinito meno infinito è una forma indeterminata, no? Chissà. Sai perché sono qui? In punto di morte si ricordò che un tempo ero iscritto a Matematica; le avrebbe fatto tanto piacere che ricominciassi. E allora eccomi: finché sono iscritto a Matematica sono ancora insieme a lei.”

Vorrebbe che gli trovassi un editore; gli dico che non saprei come fare. Gli chiedo se posso parlare della loro storia; mi dice che non posso: devo! Non so se lui sappia che mi trovo in mano questo megafono. Ci salutiamo. Immagino che andrà fuori a fumare pensoso un’altra sigaretta. Da un paio d’anni ha cominciato a dare, col contagocce, degli esami; a suon di trenta. Chiamalo matto…