Scuola

Scuola: sei domande al presidente di Invalsi e al ministro Giannini

Tra pochi giorni tornano i test Invalsi: il 5 e 6 maggio nelle scuole primarie (il 12 nella secondaria di secondo grado) i ragazzini saranno sottoposti ai quiz dell’istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione. Di là delle polemiche e del mio punto di vista (basta sapere che farò sciopero entrambi i giorni aderendo al manifesto proposto dai Cobas, unico sindacato a scioperare contro la prova) vorrei provare a porre qualche interrogativo al presidente dell’Invalsi, Anna Maria Ajello e al ministro della Pubblica istruzione, Stefania Giannini, per aprire una riflessione su una prova che, a mio avviso, è superata, vecchia.

1. I test Invalsi misurano solo le competenze in italiano e in matematica dei nostri ragazzi. In un contesto europeo dove le competenze digitali e le lingue sono importanti tanto quanto l’apprendimento della lingua madre, non è forse necessario comprendere come si insegnano queste materie e qual è lo stato di apprendimento dei nostri ragazzi?

2. Leggo dal manuale per il somministratore: “La valutazione del sistema scolastico è da intendersi come un’infrastruttura stabile e consolidata che consenta di migliorare progressivamente i livelli di apprendimento nella scuola e, di conseguenza, le opportunità di sviluppo e di crescita dell’intero Paese. La rilevazione è guidata dalla duplice esigenza di migliorare, da un lato, l’efficacia della scuola per le fasce più deboli della popolazione scolastica e, dall’altro, di far emergere e diffondere le esperienze di eccellenza presenti nel Paese”. Se questi sono gli intenti forse non sarebbe necessario valutare il livello di inclusione degli alunni con disabilità o quello di integrazione degli allievi con cittadinanza non italiana? Anche da qui passa la qualità di una scuola!

3. I dati degli Invalsi sono da anni più o meno sempre gli stessi con un Sud che ha risultati inferiori rispetto al Nord, in particolare nelle isole. Preso atto di questi numeri, quali sono stati gli atti presi dal Governo o i fondi investiti per le scuole di queste Regioni? E’ chiaro, infatti, che la fotografia fatta da Invalsi deve servire non solo a fini statistici.

4. Un’altra funzione della valutazione è quella di rendicontare alle famiglie ma il problema della reale trasparenza delle informazioni ha il rischio di un’interpretazione distorta soprattutto da parte delle famiglie con modeste risorse socioculturali. Possiamo “tradurre” questi risultati?

5. In America, dove i test standardizzati ci sono da mezzo secolo c’è in atto un boicottaggio da parte di chi li considera inefficaci, costosi ed inadeguati. Nel New Jersey, la Commissione Educazione dell’Assemblea dello Stato ha votato all’unanimità alcune proposte di legge tra cui una moratoria di tre anni sui test e la libertà dei genitori di non farli fare ai figli. Forse non è il caso di chiarire una volta per tutte anche in Italia, che i test Invalsi non sono obbligatori e che ogni genitore è libero di farli fare o meno senza conseguenze?

6. Se tanti, troppi insegnanti trascorrono ore a somministrare prove in preparazione del test Invalsi, forse non è chiaro che questa valutazione è di per sé vissuta in maniera errata dai docenti?