Politica

Italicum, minoranza Pd tra assenze e cedimenti: “Voto sì, senso appartenenza”

Anna Giacobbe, cuperliana: "La democrazia non è solo il principio di maggioranza, ma è anche quello". Antonio Matarrelli, vendoliano: "Ritengo utile esprimermi a favore". Lauricella, della minoranza del partito democratico: "Con lo scrutinio segreto la legge elettorale avrebbe una maggioranza più larga di quella di governo: conviene a tutti". Rosato: "I contrari tra noi? Saranno meno di 5". Intanto Guerini mostra sicurezza: "Niente fiducia sulle pregiudiziali. E sui voti finali vedremo"

E se invece il voto sull’Italicum non fosse affatto l’anticamera di una scissione del Pd e men che meno di una crisi di governo? Dall’opposizione, anche interna, la sicurezza di Matteo Renzi, del suo governo e dei suoi è dipinta come un filo sul quale cammina il governo: “L’Italicum rischia di diventare la sua Waterloo” è il pronostico, per esempio, del capogruppo di Fratelli d’Italia Fabio Rampelli. “Se passerà l’Italicum, non esisterà più il Pd” aggiunge Pippo Civati. In realtà la legge elettorale, all’ombra del voto segreto, potrebbe raccogliere più voti di quanto la disciplina di partito – con lo scrutinio palese – spingerebbe a fare. Anche perché sulla carta la legge elettorale potrebbe favorire tutti i partiti presenti oggi in Parlamento, per motivi diversi. Così ci sono i primi segni di cedimento nella minoranza Pd e perfino dentro Sel. Ci sono previsioni forse eccessive che danno i possibili voti contrari ridotti a 5. C’è l’apparente dimostrazione di sicurezza da parte dei vertici del Pd, con Lorenzo Guerini che esclude voti di fiducia sulle pregiudiziali di costituzionalità (in programma domani 28 aprile) e lascia aperta la possibilità sui voti finali. 

La cuperliana e il vendoliano: “Voteremo sì”
L’esito thrilling, la battaglia campale, la lotta all’ultimo voto sarebbe, insomma, solo un racconto del “prima”. Certo, per il momento non ci sono prove, ma solo indizi. A partire dai segnali di cedimento del fronte dei cosiddetti “dissidenti“. Nella minoranza Pd, per esempio, esce allo scoperto Anna Giacobbe, cuperliana: “Voterò a favore della riforma elettorale nel prossimo passaggio alla Camera, non per obbedienza, non per pura disciplina, ma per l’idea che ho di partito e di come si pratica l’appartenenza: la democrazia non è solo il principio di maggioranza, ma è anche quello”. Il resto della sua corrente (SinistraDem, guidata da Cuperlo, appunto) si esprime con un comunicato, con il quale replica a Renzi sul concetto di dignità (“è un concetto profondo ed è offensivo usarlo a fini di polemica interna”), ma nel quale soprattutto afferma che “una mediazione è ancora possibile”. Sembra che l’ultima resistenza sia quella dei soliti nomi: Fassina, Bindi, Civati.

Dentro Sel, invece, intanto ecco Antonio Matarrelli, vendoliano mai pentito: “Ritengo utile votare favorevolmente” dice “al termine di una riflessione ponderata e durata molte settimane”. Il capogruppo Arturo Scotto prende atto e “tuttavia la denuncia di pressioni indebite che ho fatto ieri era fondata”.

I rischi del voto segreto. Per le minoranze (anche Pd)
Così qui dentro si inseriscono i rischi del voto segreto. Rischi per le opposizioni, non solo per la maggioranza. “Se venisse richiesto il voto segreto – diceva alcuni giorni fa il deputato Giuseppe Lauricella – l’Italicum avrebbe qui alla Camera una maggioranza assai più ampia che quella di governo”. Lauricella, è un professore di diritto costituzionale, membro della commissione Affari costituzionali della Camera e soprattutto parlamentare del Pd. In particolare per mesi, al primo giro di voti a Montecitorio, era uno dei principali firmatari degli emendamenti della minoranza del Pd sia sulla legge elettorale sia sul disegno di legge per le Riforme costituzionali. Ma quando tutti i commissari democratici ritenuti “dissidenti” sono stati sostituiti dai vertici del partito, lui è rimasto perché ha seguito “la linea”. Lauricella all’Ansa spiegava: “Con lo scrutinio segreto almeno metà dei parlamentari di M5s, di Fi e dei partiti piccoli, voterebbe per l’Italicum che è un sistema che piace a quasi tutti, al di la di quanto affermano in pubblico. Ai Cinque Stelle piace il premio alla lista anziché alla coalizione, perché quasi gli garantisce di andare al ballottaggio; e poi con i capilista bloccati anche gli attuali parlamentari più in vista sarebbero sicuri di essere rieletti. Inoltre la soglia di sbarramento al 3% tutti i partiti minori sono sicuri di entrare in Parlamento”. 

Rosato (Pd): “I voti contrari? Saranno meno di 5”
A questo si aggiunge quello che si è già raccontato: l’eventuale soccorso azzurro che è pronto a dare Denis Verdini con la sua pattuglia di Montecitorio. I “verdiniani” ovviamente smentiscono e ribadiscono la fedeltà al leader (nel senso di Berlusconi). Un’altra traccia, per quello che vale, sta intorno alle dichiarazioni di maggioranza. Matteo Renzi ha fatto appello alla base del Pd richiamando perfino la “dignità” del partito, la ditta come l’avrebbe chiamata Pierluigi Bersani, se fosse stato allo stesso posto. Il ministro della Cultura Dario Franceschini ha parlato da ex segretario ai suoi successori, Guglielmo Epifani e Bersani stesso, per sottolineare che “stavolta, per davvero, non solo è in gioco la possibilità di portare a termine una riforma storica che abbiamo fallito almeno dieci volte. C’è un problema serio che riguarda il futuro del nostro partito”. Meno poeticamente, e forse un po’ giocando, il vicecapogruppo vicario del Pd Ettore Rosato, il più alto in grado alla Camera dopo le dimissioni di Roberto Speranza, ha previsto che quelli del Pd che voteranno contro l’Italicum saranno “meno di cinque tra cui Civati, Fassina e D’Attorre“. Magari saranno più di 5, ma se un paio di settimane fa le stime in Transatlantico parlavano di 80-100 contrari, ora il numero è sceso a 50, da dividere come sempre tra contrari, astenuti, non partecipanti, assenti.

La battaglia delle opposizioni
A questo proposito il quarto segnale sta nel monumentale numero di assenti in Aula in fase di discussione generale dell’Italicum: il dibattito è stato per pochi intimi, in certi momenti per meno di 20 deputati su 630. Il membro del direttorio M5s Luigi Di Maio se l’è giocata dicendo che “la discussione generale è sempre fatta da poche persone”, che la legge elettorale “non è la priorità” e che tanto c’è il proporzionale puro con le preferenze uscito dalla Corte costituzionale che ha denudato il Porcellum un anno e mezzo fa. Dalla Lega Nord la linea è data dal segretario federale Matteo Salvini: “Non ce ne frega nulla”. Il punto è che se la strategia è l’Aventino, come in commissione, il risultato potrebbe essere proprio come quello in commissione: l’approvazione dell’Italicum a velocità di un treno, altro che resistenza. “Immaginare un Aventino è una forma di protesta che agevola Renzi – dice Potito Salatto, vicepresidente dei Popolari per l’Italia (il partito di Mario Mauro, quello delle alleanze multicolor) – abbassando il quorum per l’approvazione del famigerato Italicum”.

Le sicurezze dei renziani
Infine l’atteggiamento dei renziani, che insistono sul “bisogna pur decidere” e che – attraverso i segretari d’Aula – mandano un sms (“Presenza obbligatoria”) a tutti i deputati per essere presenti domani, 28 aprile, alle 11,30 per il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità, due delle quali con voto segreto. Ma che, dall’altra parte, sembrano togliere dal campo qualsiasi pretesto per un contrasto con le minoranze, esterne ed interne. Il vicesegretario Lorenzo Guerini ha escluso che ci sia “la volontà di ricorrere alla fiducia” sulle pregiudiziali, mentre sul voto finale sui 4 articoli articoli “secondo come si svilupperà il dibattito in Parlamento, il governo deciderà”.