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Delega fiscale, chi ottiene “risparmi illegittimi” su tasse non commette reato

Uno dei decreti varati martedì dal Consiglio dei ministri equipara il cosiddetto "abuso del diritto" all'elusione, escludendone la rilevanza penale. Quindi le aziende che mettono in atto operazioni senza "sostanza economica" e mirate solo a ottenere vantaggi fiscali indebiti rischieranno al massimo una multa. In linea con le richieste di Confindustria anche la limitazione del raddoppio dei termini di accertamento

La ridefinizione dell’abuso del diritto in ambito tributario, per il quale vengono escluse conseguenze penali. E una stretta sul raddoppio dei termini degli accertamenti dell’Agenzia delle entrate. Sono queste le principali novità contenute nel decreto legislativo “sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente” approvato martedì dal Consiglio dei ministri. Provvedimenti di attuazione della delega fiscale già esaminati dal governo alla vigilia di Natale, salvo poi essere bloccati per le polemiche successive all’introduzione nel testo della norma cosiddetta ‘salva Berlusconi’. Quest’ultima è stata di nuovo rinviata, insieme al decreto sui reati tributari.

L’abuso del diritto, concetto la cui definizione è passata sinora per le sentenze della Cassazione, riguarda quelle operazioni che, pur rispettando formalmente le norme, comportano vantaggi fiscali indebiti per il contribuente. Ora l’abuso del diritto viene codificato e unito al concetto di elusione fiscale. Le operazioni abusive non avranno rilevanza penale, ma saranno soggette solo a sanzioni amministrative. E l’onere della prova della condotta abusiva graverà sull’Agenzia delle entrate, mentre il contribuente potrà difendersi dimostrando l’esistenza di “valide ragioni extrafiscali” alla base delle operazioni effettuate.

Secondo il comunicato stampa diffuso dal governo (il testo del decreto non è stato ancora reso disponibile), perché un’operazione venga considerata abusiva deve essere priva di “sostanza economica”, ovvero non deve essere finalizzata, per esempio, allo sviluppo dell’attività o alla creazione di posti di lavoro, ma solo a un vantaggio fiscale. Tale vantaggio, definito “indebito”, deve quindi costituire “l’effetto essenziale dell’operazione”. Non si considerano invece abusive “le operazioni giustificate da ‘valide ragioni extrafiscali non marginali’ anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o dell’attività professionale del contribuente”.

“Sull’abuso del diritto lo scopo è delineare con certezza la condotta contestabile al contribuente – ha spiegato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan -. Mentre frode, reati tributari, evasione, rientrano nell’ambito penale, l’abuso del diritto ha natura amministrativa”. Festeggia Confindustria: “Finalmente l’Italia si dota di una norma generale antielusiva come richiedevano, da tempo, le istituzioni internazionali: viene garantita la libertà delle imprese di scegliere tra diversi schemi negoziali messi a disposizione dalla legge e viene chiarito che all’abuso non può essere attribuita rilevanza penale”.

Da viale dell’Astronomia arriva apprezzamento anche per la nuova disciplina riguardante il raddoppio dei termini di accertamento, giudicata in linea con le richieste delle imprese. Le indagini dell’Agenzia delle entrate di solito possono andare indietro di quattro anni (cinque nel caso di mancata presentazione della dichiarazione dei redditi). Tali termini vengono raddoppiati nel caso di rilevanza penale dei fatti. Prima, per tale raddoppio, era sufficiente il sospetto che il contribuente avesse commesso un reato. Ora invece sarà necessario che sia stata presentata formale denuncia entro i termini canonici dell’accertamento (quattro o cinque anni). Tale novità dovrebbe risolvere l’incertezza che ancora pendeva sulla procedura del rientro dei capitali nascosti all’estero (voluntary disclosure), uno dei fattori che ne ha reso deludente il decollo. Non era sinora chiaro, infatti, quale periodo andasse preso in considerazione per il calcolo delle imposte evase e delle sanzioni, con il rischio di raddoppio dei costi per l’adesione alla collaborazione volontaria.

Infine il decreto introduce una forma di ‘tutoraggio’ per le grandi imprese – “adempimento collaborativo” – finalizzato ad aiutare le aziende a valutare per tempo eventuali operazioni a rischio dal punto di vista fiscale, in modo da prevenire controversie con l’Agenzia delle entrate.

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