Scienza

Sindone: quando la storia può essere rigorosa quanto la scienza

Dal 19 aprile al 24 giugno 2015 si terrà una nuova ostensione (esposizione) della Sindone più famosa, (ce ne sono diverse), quella di Torino. Anche se è considerata di proprietà della Santa Sede dopo essere stata lasciata in eredità dall’ultimo re di Italia Umberto II di Savoia, la Chiesa non si esprime ufficialmente sulla sua presunta autenticità (“è il lenzuolo funebre che ha avvolto il corpo di Gesù Cristo”) o su quello che le fonti storiche e le evidenze scientifiche indicano essa sia: un artefatto medioevale risalente circa al 1300.

La Chiesa, almeno in teoria, la considera come “un’icona della passione di Nostro Signore”, una rappresentazione, come un dipinto o un crocefisso. La storiografia è concorde con l’origine medioevale: non ci sono evidenze dell’esistenza della Sindone di Torino prima della sua apparizione in Francia nel 1355 circa. Quando compare, i vescovi del luogo e il papa dell’epoca la qualificano come un artefatto umano e non certo divino. La Sindone di Torino è ben diversa dalle stoffe ritrovate in Palestina e risalenti all’epoca dell’occupazione romana. Inoltre, la lavorazione del tessuto è sconosciuta duemila anni fa ma attestata solo dal medioevo. Nonostante tutte le evidenze storiche escludessero che la Sindone di Torino potesse risalire al I secolo dopo Cristo, all’inizio del Novecento un gruppo di studiosi ha inaugurato una disciplina definita “sindonologia”. La maggior parte di coloro che studiano la sindone è “autenticista” nel senso che vorrebbe dimostrare che la Sindone risalirebbe non solo a duemila anni fa ma anche che avrebbe accolto proprio il corpo di Gesù Cristo. Le evidenze storiche hanno ricevuto una conferma dell’analisi del carbonio 14 (radiocarbonio), pubblicata nel 1989 sulla prestigiosa rivista Nature. Già allora quest’analisi era considerata di routine per datare reperti antichi, e non è stata mossa alcuna obiezione sensata su questa datazione. I sindonologi autenticisti, però non si sono arresi. Anzi. Sono apparsi tutta una serie di studi di dubbia qualità scientifica, quando non palesemente con dati falsi, in cui alcuni scienziati, che forse avevano sofferto della loro scarsa visibilità, si sono lanciati nelle più fantasiose ipotesi di datazione, inventando nuovi metodi che funzionerebbero solo nel caso della Sindone. La fede incrollabile dei sindonologi (non certo nella religione cattolica, sia ben chiaro, ma nelle proprie fantasiose convinzioni) ricorda molto da vicino un altro gruppo di persone: i seguaci del compianto prof. Luigi Di Bella, l’ideatore dell’inefficace forma di chemioterapia conosciuta come “Metodo Di Bella”. Nonostante l’assenza di qualsiasi razionale nella terapia, se non quello di mischiare come in un cocktail sostanze che qualcun altro aveva dimostrato avere una qualche azione antitumorale, nessuna evidenza di persone che abbiano tratto reale giovamento neppure nelle cartelle cliniche del professore e soprattutto una sperimentazione che ne ha dimostrato la sostanziale inutilità, i dibelliani non si arrendono all’evidenza. Contestano qualsiasi aspetto della sperimentazione del 1998. Recentemente, un avvocato pugliese, Gianluca Ottaviano, la cui moglie e suocera hanno ottenuto una sentenza favorevole dal tribunale per il rimborso a carico della Asl della Terapia Di Bella, ha scritto una lettera al presidente Mattarella chiedendo una nuova sperimentazione. Sorprendentemente (per chi non conosce i dibelliani) la sua iniziativa è stata sconfessata proprio dai dibelliani più intransigenti, perché “non serve una nuova sperimentazione”. Perché? Analogamente, la maggior parte dei sindonologi che contesta l’analisi del carbonio 14 non chiede di ripetere questa indagine. Perché?

Paradossalmente, sono stati gli storici a essere più rigorosi degli scienziati nello studio della Sindone, forse perché la scienza seria si è sostanzialmente disinteressata a quest’oggetto una volta provata la sua origine medioevale. Non esiste quindi un reale dibattito sulla data di origine della Sindone di Torino. Esistono però congressi di sindonologi nel quale si nega qualsiasi evidenza storica e scientifica “scomoda” e si abbraccia in modo acritico qualsiasi fantasiosa teoria. C’è un altro aspetto però che sottolinea il parallelismo tra le due vicende: il ruolo dei mezzi d’informazione. Come la vicenda Di Bella nel 1998 fu esasperata da una serie di articoli a caratteri cubitali, in questi giorni si assiste a un fiorire di articoli tipo “l’enigma della Sindone”, quando di controverso c’è davvero poco. Se in un caso i danni sono limitati alla perdita di tempo di chi ascolta i sindonologi, per quanto riguarda la pseudomedicina scrivere articoli sensazionalistici è irresponsabile, perché allontana le persone dalla cure efficaci causandogli danni irreparabili.

Per cercare di riportare un po’ di verità (e buon senso), il 29 di aprile alle 15, presso la facoltà di Lettere e Filosofia (aula A) dell’università Sapienza di Roma si terrà una presentazione/tavola rotonda intorno al libro “Sindone” di Andrea Nicolotti (Einaudi) recentemente pubblicato. Questa opera è unica nel suo genere, in quanto vuole sfatare i miti propagandati dai sindonologi autenticisti con una rigorosa analisi storica. Lo scopo del libro non è di discutere sull’origine medioevale, che è certa, ma di dimostrare come si creano e si diffondo le leggende tramite la pseudostoria, che è altrettanto dannosa e pericolosa quanto la pseudomedicina.

La parte più interessante è forse quella in cui si racconta la storia di altre reliquie, che inizialmente non avevano alcuna pretesa di essere altro che rappresentazioni ma che con il passare degli anni acquistano una storia fantasiosa che indicherebbe la loro autenticità. Questo libro è un interessante esempio di storiografia e rigore metodologico, che sicuramente supera quello di molti cosiddetti “scienziati” che hanno rinnegato la loro formazione. La bellezza dell’opera di Nicolotti è che dimostra che il rigore metodologico non appartiene solo alle discipline tradizionalmente “scientifiche”, ma anche a quelle storiche.