Diritti

Usa, la facoltà di discriminare i gay che ricorda le leggi razziali

La notizia proveniente dall’Indiana sulReligious Freedom Restoration Act” – la legge che permette ad esercenti e ristoratori di non fornire i propri servizi alle persone Lgbt in virtù della loro fede – è stata salutata dall’integralismo cattolico italiano come un atto di libertà religiosa da prendere ad esempio e, possibilmente, da estendere ad altri ambiti. A quanto pare è fondamentale per le esigenze dello spirito, la salvezza della propria anima e al fine di scongiurare la dannazione eterna, impedire che un gay si sieda a tavola in un fast food o negare il catering per la festa di compleanno del figlio di una coppia di lesbiche.

Quale relazione possa esserci tra questi atti e la compiacenza di Dio è uno dei tanti misteri della spiritualità della società d’oggi, implacabile con quei soggetti percepiti come marginali e bollati come peccatori, forse anche per un approccio letterale al Levitico per cui giacere con uomo come si fa con donna è certamente abominio. Sarebbe interessante, tuttavia, riscontrare se quei ristoratori e quegli esercenti di cui sopra serviranno ancora crostacei nei loro locali o se vestiranno con stoffe diverse: tali peccati sono descritti come altrettanto riprovevoli sempre nel testo appena citato, ma sono pur trascurati dai fautori di certe discriminazioni.

Adesso, che in questo o quel libro sacro una fellatio tra maschi e un bollito di aragosta possano condurre direttamente tra le braccia di Lucifero in persona, è fatto che potremmo lasciare volentieri alle categorie del fantasy, genere che un tempo ispirava religioni intere e che ha dato i frutti di cui tutti abbiamo memoria quali eccidi, roghi, massacri e qualsiasi altro atto sia stato pensato per rendere il proprio dio ancora più grande e misericordioso. Che tali ossessioni siano ancora oggi al centro di dibattito politico e ispirino l’azione dei legislatori, è cosa che dovrebbe far riflettere una civiltà che poi inorridisce per i fondamentalismi degli altri: Isis in testa.

Credo, ancora, che chiamare “libertà religiosa” la facoltà di discriminare esseri umani – sempre per quel misterioso legame che unisce omosessuali e cocktail di scampi, passando per la Bibbia – sia un lusso che una società che si dice progredita o che pretende di esserlo non può permettersi. La libertà non dovrebbe mai essere abuso a danno di terzi. A meno che non si dimostri che servire un hamburger a Elton John e a suo marito impedisca qualcuno a recarsi in chiesa la domenica a pregare e a trarre buoni propositi per la sua anima.

Anche perché se passa quest’idea per cui tutto ciò che è previsto da un libro sacro deve essere legge o tutelare giuridicamente gruppi professionali, poi non lamentiamoci se un giorno si infibuleranno bambine in nome dello stesso concetto o si impedirà a qualche ebreo di accedere a un centro commerciale magari perché visto come deicida. Perché è vero, siamo tutti liberi e libere di credere che il Padreterno (o chi per lui) abbia a cuore la clientela dei suoi supporter – e pazienza se poi nel mondo ci sono cose ben peggiori di un caffè servito a Ricky Martin – ma la libertà dovrebbe essere un concetto ben più nobile della facoltà di chiunque di esercitare discriminazioni a danno di una categoria sociale con la protezione o l’avallo dello Stato. Anche perché è una storia già vista, almeno dai tempi delle leggi razziali in poi. E sappiamo come finisce quella storia. A meno che non la si voglia ripercorrere. Con la benedizione di Dio, va da sé.