Società

Sanità, chi avrà il coraggio di ridurre le spese?

La spesa sanitaria in Italia, secondo gli ultimi dati, ammonta al 9,2% del Pil. Questa spesa è assolutamente eccessiva, se paragonata alla qualità dell’erogazione, che vede nel Belpaese, purtroppo, una sanità a macchie di leopardo. E’ necessaria una riduzione del 20% nei prossimi cinque anni. Stabilito questo, la difficoltà sta nel metterlo in pratica, giacché le mani nelle tasche dei contribuenti non si possono più mettere, dato che, ormai, sono assolutamente vuote. Le macro-aree d’intervento individuate interessano in particolar modo le regioni, che complessivamente spendono 200 miliardi di euro, di cui 115 solo in sanità.

La prima riguarda la riduzione dei costi dei S.s.r. tramite la revisione dei Drg e del nomenclatore tariffario, con cui, alle strutture sanitarie, sono corrisposti i rimborsi per interventi e prestazioni. La logica di questo intervento è la seguente: se l’economia nazionale è arretrata di oltre vent’anni e siamo tornati, nella vita reale, ad una situazione economica paragonabile a quella degli anni ’70, anche i rimborsi devono subire un’analoga riduzione. Senza essere troppo drastici, sarebbe sufficiente che fossero reintegrate le tariffe del 1996, allorché si mise in pratica, per la prima volta, il pagamento secondo tariffazione delle prestazioni, al posto di quello a degenza, precedentemente in vigore.

Potrebbe essere il momento giusto anche per razionalizzare la spesa di certi interventi e prestazioni, che, una volta, era giustamente elevata, mentre oggi, con il progresso e la riduzione delle spese per apparecchiature mediche, non ha più ragion d’essere. Mi riferisco, per esempio, alla capsulotomia yag-laser per il trattamento della cataratta secondaria, condizione che attualmente insorge troppo frequentemente. Pagare circa 150 euro una capsulotomia e circa 900 un intervento completo di cataratta, appare oggi sproporzionato. Certamente la riduzione delle tariffe non piacerà all’imprenditoria privata della salute, che si vedrà tagliata una fetta delle proprie entrate, ma perché l’intero Paese deve fare sacrifici e loro continuare a guadagnare? Controlli sanitari seri sui pazienti e non sulle cartelle cliniche, secondo il mio sistema di controllo pubblicato, associati a gestione e controllo dei dati sanitari posti nelle mani del cittadino riducono il rischio di abuso.

La seconda concerne la trasparenza e la lotta alla corruzione, che varrebbe, secondo alcune stime, 23,6 miliardi di euro l’anno, essendo questo fenomeno diffuso su tutto il territorio nazionale, con percentuali del 41% al Sud, 30% al Centro e 23% al Nord. Come fare per bloccare questo fenomeno? E’ molto semplice: è sufficiente creare un unico centro di acquisto regionale, magari sotto diretto controllo ministeriale, che, oltre a risparmiare spuntando prezzi migliori per forniture di 100.000 pezzi anziché di soli 1.000, toglierebbe agli uffici acquisti la possibilità di corruzione/concussione. Accanto al centro unico di acquisto, sarebbe sufficiente un computer, su cui far convergere in tempo reale le richieste di approvvigionamento dei singoli enti sanitari, bonificando ed ottimizzando così tutta la filiera tra vendita e dettaglio. Conoscendo la spesa storica, sarebbe anche facilissimo fare una previsione di consumo, di spesa e, quindi, di risparmio. Perché indire 100 gare di acquisto per lo stesso prodotto, all’interno della stessa Regione, quando sarebbe sufficiente farne una sola? Nel campo oculistico, per esempio, che senso ha che a carico del S.s.n. siano effettuati interventi di cataratta inserendo cristallini artificiali di quindici marche diverse, quando i pazienti non possono esercitare alcuna scelta in questo campo? Sarebbe sufficiente far convergere gli acquisti sulle due-tre offerte migliori, giusto per non creare una situazione di monopolio, e distribuire indiscriminatamente il prodotto alle varie chirurgie, una volta spuntato il prezzo più vantaggioso.

Il terzo dolente capitolo è l’investimento sulla digitalizzazione della sanità, che nell’ultimo biennio ha registrato una diminuzione del 5%, con spesa ferma a 1,17 miliardi di euro. Questo ha finito per rallentare la sanità digitale: il fascicolo sanitario elettronico (Fse) è attivo appena nel 43% delle Asl. Basterebbe introdurre History Health che dia in mano al paziente la gestione e il controllo dei propri dati sanitari sottraendolo a Istituzioni intermedie che difficilmente riescono a “parlarsi” e restano isolate regioni per regioni se non città per città in quella lotta a chi fa meglio che mai corrisponde al meglio per il cittadino-paziente che si sente “usato” e non attivamente partecipe della propria salute.

Ultimo punto toccato dallo studio: la necessità di un management scelto nell’interesse dei cittadini e non secondo logiche di una mediazione politica, con criteri e valutazioni basate sulla professionalità. Sono ormai 35 anni che i politici si sono impadroniti della sanità, dal 1978, anno dell’entrata in vigore della legge 833, istitutiva del S.s.n.: chi sarà così spietato da buttare in mezzo alla strada la massa di ex trombati della politica attiva, infilati a forza nella gestione sanitaria? Queste persone hanno “lavorato” tutta la vita passandosi scartoffie e partecipando a riunioni, comitati, gruppi di studio, tavole rotonde, commissioni: non saprebbero nemmeno andare a comprare il pane, senza una segretaria! Come potrebbero sopravvivere? Purtroppo, sono ben 12,5 i miliardi di euro assorbiti ogni anno dalle spese amministrative regionali italiane. I presidenti delle Regioni meno virtuose sono i primi ad inalberarsi quando si parla di ridurre i trasferimenti alla sanità, minacciando di tagliare i servizi ai cittadini: perché non licenziano, invece, i loro portaborse?
Molto deludente la conclusione dello studio, che riportiamo:

È ormai necessario passare a metodologie che abbiano il carattere dell’oggettività e dell’appropriatezza tecnica, trasferendo una serie di competenze a un’Agenzia che garantisca trasparenza, comparazione concorrenziale tra pubblico e privato, monitoraggio e aggiornamento costante dei diversi prontuari, e conseguentemente uniformità di standard assistenziali sul territorio nazionale“.

Della serie: lasciamo gli enti inutili e creiamo un altro Ente, che tenti di fare il lavoro che gli altri non fanno. Questo sistema è proprio quello che ci ha portato allo sfascio.