Politica

Orfini e le origini del Pd respingente

“La responsabilità è nostra, siamo respingenti”, ha detto Matteo Orfini, commissario del Pd romano all’assemblea dei tesserati commentando “il mistero di un partito che in città prende 500 mila voti e ha solo 9 mila iscritti tra veri e falsi…”. Bisogna dare atto a Orfini, che è anche presidente nazionale dei Democratici, di aver usato senza ipocrisie l’espressione giusta perché se è vero che oggi è l’intera categoria dei partiti a essere ‘respingente’ per chi volesse accostarsi con le migliori intenzioni alla politica, il problema tocca la natura stessa del Pd che con Matteo Renzi si è proposto come la forza del ‘cambiamento’.

E in effetti non è facile immaginare per quale motivo, per così dire ideale, un giovane possa entrare in una sezione Pd magari per sentirsi chiedere quale dei tanti signori delle tessere (false) lo abbia indirizzato lì e perché. Nominato commissario a seguito dello scandalo di ‘Mafia Capitale’, in questi mesi Orfini deve aver visto cose che noi umani neppure immaginiamo.

In piccolo accadde anche a chi scrive quando, come direttore dell’Unità, il giorno delle prime primarie, fiducioso nel nuovo che avanzava, entrai nel circolo del quartiere dove abito e subito fui avvicinato da un tale che mi avvertì che in quella sezione i nuovi dirigenti erano già stati decisi a tavolino secondo una rigida ripartizione tra Ds e Margherita e che questo sistema vigeva un po’ dappertutto. Come dire, respingenti fin dalla culla.

Da ‘Stoccata e Fuga’, il Fatto Quotidiano, 11 Marzo 2015