Musica

Joe Venuti, ricordando un grande del jazz – Parte I

Gli anni Settanta furono molto importanti per me, in quanto numerosi furono i miei incontri con i musicisti americani. Il primo di questi fu il violinista Joe Venuti, che venne in Italia nel 1971 per partecipare al Festival del Jazz di Bergamo e rimase a Milano per un bel pò di tempo. Quella sera, con un’amica, anch’io mi recai a Bergamo per ascoltarlo assieme al pianista Lou Stein, a Marco Ratti al contrabbasso e Gil Cuppini alla batteria. Suonò magnificamente e di ritorno a Milano, prima di andare a dormire, pensammo di andare a bere qualcosa al Capolinea, già allora tempio meneghino del jazz.

Eravamo seduti da mezz’ora circa e l’orchestra di turno aveva terminato il suo programma. Ad un tratto arrivò un gruppo di persone e fra queste il grande violinista italo-americano. Non mi sembrava vero! Il grande Joe Venuti, il primo ad inserire il violino nel jazz nei primi anni Venti, era lì al tavolo accanto al mio. Improvvisamente mi vennero in mente i suoi dischi incisi assieme a Eddie Lang, a Bix Beiderbecke, a Frank Trumbauer, a Bing Crosby, a Paul Whiteman… Tesi l’orecchio e mi accorsi che parlava correttamente l’italiano e, timidamente, mi avvicinai a lui per salutarlo: “Maestro Venuti!”, dissi, “Sono un suo grande ammiratore, suono la chitarra e uno dei miei sogni è sempre stato quello di suonare con lei!”.

Mi guardò incuriosito, dopodiché mi chiese: “Hai la chitarra? Prendila e suoniamo!”. Accanto a noi c’era Joe Cusumano con in mano il suo strumento e non ci fu neanche bisogno di chiederglielo; lui stesso me lo porse. Gli amici ci fecero spazio e improvvisamente presi il posto di Eddie Lang, cinquant’anni dopo. “Cosa vuoi suonare?”, mi chiese e io: “Tutto quello che vuole, maestro!”. “Sweet Georgia Brown lo conosci?”. “Certo”, risposi e con la chitarra introdussi il brano. Joe attaccò il tema e subito dopo un’improvvisazione da capogiro. Mi sembrava di volare; stavo suonando con una delle leggende del jazz. Terminato il primo pezzo, fra gli applausi, attaccammo Dinah e poi After You’ve Gone e poi ancora I’ve Found a New Baby e tanti, tanti altri brani fino alle prime luci dell’alba. Alla fine, esausto e felice, gli lanciai il mio desiderio: “Maestro, vorrei incidere un disco con lei e invitarla alla mia trasmissione radio!” e lui: “Ok, chiamami al residence dove abito e ci metteremo d’accordo!”. Quindi mi diede il suo numero di telefono e ci lasciammo, abbracciandoci affettuosamente.

Dopo qualche giorno lo chiamai per invitarlo in Rai e intervistarlo. Mi raggiunse in corso Sempione, dove stavo registrando Off Jockey con Nanni Svampa e Franca Mazzola.

Avevo chiamato anche il bassista Totò De Serio per una eventuale performance. Joe fu molto disponibile e ci raccontò dei suoi trascorsi negli anni Venti assieme a Eddie Lang, che fu il primo grande chitarrista della storia del Jazz (in realtà, si chiamava Salvatore Massaro ed era figlio di emigranti italiani provenienti da Monteroduni, in provincia di Isernia). Assieme suonammo Honeysuckle Rose di Fats Waller e poi fu la volta di Nanni, che gli chiese di accompagnarlo in una canzone di Georges Brassens. Dopo ancora fu la volta di Franca al pianoforte, che assieme a lui suonò la Marcia Turca di Mozart.

Durante l’intervista, inoltre, s’inventò di essere nato a Lecco (chissà poi perché) e si aumentò l’età di una decina d’anni. Con Adriano Mazzoletti scoprimmo la verità molti anni dopo la sua morte: Joe era nato a Philadelphia da famiglia siciliana nel 1903, e quindi aveva poco meno di settant’anni, mentre invece ne dichiarava quasi ottanta. Evidentemente per stupire.

Dopo qualche giorno entrammo nella sala d’incisione della Durium per registrare il nostro primo Lp dal titolo Joe Venuti In Milan. Con Joe nacque una grandissima amicizia, che durò nel tempo. Con lui partecipai ad alcuni importanti festival del jazz a Pescara, Verona e Genova, accanto a Oscar Peterson, Gerry Mulligan e Ella Fitzgerald.

Dopo i festival, si trasferì a Marina di Carrara e spesso andai a trovarlo allo Universal Club, invitandolo a pranzo dai miei che, in una località vicina, avevano preso in affitto una casa per l’estate. Joe era una buona forchetta e gradì molto la cucina di mia madre.  Una volta, dopo pranzo, in giardino improvvisammo una piccola jam session coinvolgendo anche mamma, che intonò un paio di canzoni popolari calabresi accompagnata dal suo violino.