Giustizia & Impunità

Processo civile telematico, il tribunale che sbaglia e si autoassolve

La vicenda del decreto del Trib. Milano, sez. II, 15.1.15 [firmato dal collegio composto dai giudici Bruno (presidente), D’Aquino (relatore), Mammone (giudice)], di cui ha scritto già Guido Scorza, ove è stato scritto che “Va osservato come parte opponente abbia depositato la memoria conclusiva autorizzata solo in forma telematica, senza la predisposizione delle copie “cortesia” di cui al Protocollo d’Intesa tra il Tribunale di Milano e l’Ordine degli avvocati di Milano del 26.06.2014, rendendo più gravoso per il collegio esaminarne le difese. Tale circostanza comporta l’applicazione dell’art. 96, comma 3, c.p.c. come da dispositivo.” poi giungendo a condannare e liquidare in ragione di ciò € 5.000 è di inusitata gravità.

Lo è perché ben tre giudici di Milano applicano del tutto impropriamente una norma di legge (art. 96 cod. proc. civ.), norma particolarmente importante oggi perché tesa a punire chi abusa del processo (con colpa grave o dolo), norma da vari anni restaurata, rafforzata dal legislatore appunto col nuovo terzo comma (non più solo in chiave risarcitoria e/o compensativa ma in chiave punitiva, secondo la tradizione angloamericana) ed adoperata sempre di più dalle corti di giustizia proprio per punire chi non si limita a difendersi ma vieppiù chi sostiene tesi palesemente infondate, azzardate, finalizzate a sottrarsi ad un provvedimento giurisdizionale.

La assoluta gravità del decreto è fondata su svariati motivi: a) proviene da un collegio, dunque da ben tre giudici; b) proviene da Milano, il cui foro annovera giudici di particolare preparazione e che da sempre crea giurisprudenza che influenza le altre corti; c) proviene da una sezione comunque presieduta da un magistrato di rilievo ed esperienza; d) si applica una norma assolutamente impropriamente poiché né l’art. 96 c.p.c., né alcuna altra norma esistente nel quadro legislativo consente di punire ciò che il collegio ha punito (inadempimento di una cortesia e non di un obbligo giuridico), dunque il collegio viola la c.d. legge; e) viola implicitamente tutto il quadro legislativo sul Processo Civile Telematico che ha proprio inteso sostituire il processo cartaceo con il processo telematico; f) rende palese l’abuso delle funzioni giurisdizionali (espresso con forza e cogenza proprio attraverso i provvedimenti giurisdizionali) spingendosi sino a punire adempimenti giuridicamente inesistenti; g) mortifica il diritto di difesa espresso con somma sacralità dall’art. 24 della Costituzione poiché lo si riconsegna in balia di qualsivoglia vezzo punitivo (alla stessa stregua si potrebbe punire il difensore che non saluti con estrema cordialità il giudice); g) è ancor più confermata tale gravità da ciò che ha scritto (necessariamente) subito il 19.2 la (ex da qualche giorno) Presidente del Tribunale dott.sa Livia Pomodoro tanto al Ministero della Giustizia quanto all’Ordine degli Avvocati di Milano, preoccupatissima dalla “accentuata risonanza mediatica” (ne ha scritto pure Ferrarella su CorSera ed è stato pure oggetto di una interrogazione parlamentare da parte del M5S), ribadendo che il contenuto del decreto “non costituisce una prassi di sezione” (e ci mancherebbe! Può una violazione di legge costituire una prassi?), censurando aspramente le “fuorvianti interpretazioni e dichiarazioni contenute negli articoli di stampa”, richiamando lo “spirito del protocollo” che dunque “rende incompatibile il ricorso a sanzioni processuali pecuniarie, a fronte di difficoltà e incertezze applicative connaturate alla realizzazione di un intervento così ampio e innovativo quale il PCT”.

Il decreto è aberrante perché la condotta punita non è una condotta: 1) punibile, perché non è coperta da alcuna fonte normativa e/o regolamentare, atteso che il protocollo è un mero gentlemen agreement (che l’Ordine e altri ordini hanno sbagliato a sottoscrivere!); 2) processuale poiché è solo paraprocessuale, poiché attinente ad una modalità di deposito degli atti difensivi e non alla difesa sostanziale e/o processuale vera e propria; 3) che costituisce un abuso del processo né tanto meno danneggia la parte processuale avversa, né può danneggiare in alcun modo l’organo giudicante; 4) tale da rendere “più gravoso per il collegio esaminarne le difese” (son privi i giudici di cancelleria? Son soggetti privi di stampante e/o di manualità? Sono privi di arti?); 5) che investa la parte processuale ma al più esclusivamente quella del difensore mentre l’art. 96 c.p.c. è comunque diretta alla parte processuale.

Un tale decreto realizza invece perfettamente (teoricamente) un caso di responsabilità civile del magistrato nonché certamente quella amministrativa disciplinare, sulle quali la Pomodoro tace. Invece di chiedere l’apertura di un procedimento al Consiglio Superiore della Magistratura si grida al complotto e alla strumentalizzazione. Ci si autoassolve. A questo punto chiediamo noi formalmente al CSM di intervenire d’ufficio.