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Unipol, con la fusione tra le due banche del gruppo i conti tornano

Le nozze tra Unipol Banca e Banca Sai celebrate a novembre hanno prodotto un piccolo miracolo sul bilancio del ramo creditizio del gruppo delle coop. E sono state predisposte senza una valutazione completa a giustificazione del profilo giuridico ed economico dell'operazione

“Due banche sono meglio di una, perché puoi sempre decidere di fonderle”. Così recita un vecchio (ma sempre attuale) adagio di Borsa. La dimostrazione più recente riguarda Banca Sai, la cui fusione per incorporazione in Unipol Banca è stata approvata dai rispettivi consigli d’amministrazione l’estate scorsa e – dopo il via libera di Bankitalia – è divenuta operativa all’inizio di novembre. Gli effetti di quest’operazione si sono in parte visti sui dati preliminari del 2014 annunciati mercoledì dalla capogruppo Unipol Gruppo Finanziario e si vedranno ancora meglio sul bilancio definitivo. Unipol Banca è da anni un grosso problema per il gruppo bolognese: ha generosamente finanziato immobiliaristi di ogni risma, per poi ritrovarsi – complice la crisi del mattone – con le casse piene di crediti in sofferenza. Dal 2011 la controllante Unipol Gruppo Finanziario si è impegnata per contratto a coprire le sofferenze di Unipol Banca e da allora ci ha rimesso più di 1,1 miliardi di euro, senza considerare le centinaia di milioni accantonati dalla banca per far fronte ai fallimenti dei debitori. Un vero salasso: anche nel 2014, nei primi tre trimestri, Unipol Gruppo Finanziario ha dovuto accantonare 130 milioni per le sofferenze della controllata. Poi però nel quarto trimestre dell’anno scatta la fusione per incorporazione di Banca Sai e, come d’incanto, i conti del settore bancario del gruppo bolognese migliorano. Gli accantonamenti sui crediti e altre attività si riducono del 32,6%, passando dai 377 milioni del 2013 a 254 milioni, mentre il risultato netto passa addirittura da un rosso di 295 milioni ad appena 85 milioni di perdita.

Un piccolo miracolo, tenendo conto che è stata effettuata una revisione complessiva dei crediti nell’ottica europea di “asset quality review“, che ha comportato rettifiche e svalutazioni per ulteriori 450 milioni di euro nel 2014. Nella conference call di presentazione dei risultati preliminari, l’amministratore delegato di UnipolSai, Carlo Cimbri, ha specificato di non aspettarsi “altri accantonamenti da parte della banca”. Tradotto, significa che l’opera di pulizia dei conti di Unipol Banca dovrebbe essere terminata. Non solo, il gruppo Unipol non ha poi alcuna intenzione di vendere i crediti in sofferenza o la parte immobiliare perché, come ha spiegato Cimbri, “cedere ora vuole dire cedere valore e noi non vogliamo fare il gioco degli operatori speculativi”, mentre per quanto riguarda le ipotesi di creazione di una bad bank di sistema, “Siamo attenti alle evoluzioni complessive di cui si parla, ma ci stiamo lavorando per nostro conto. Non c’è una sola soluzione per i crediti deteriorati”. Da dove deriva tanta sicurezza? E a quali soluzioni fa riferimento Cimbri? Impossibile dirlo per ora, ma una traccia del peculiare modus operandi di Unipol la si trova proprio nelle modalità con cui è stata condotta la fusione per incorporazione di Banca Sai in Unipol Banca.

Nel progetto di fusione si legge che i due unici soci (Unipol Gruppo Finanziario e Unipol Sai) hanno deciso di rinunciare a predisporre la documentazione completa, vale a dire la redazione della situazione patrimoniale delle due banche come prevista dall’articolo 2501 del codice civile, la relazione degli amministratori delle banche che giustifichi sotto il profilo giuridico ed economico il progetto di fusione e la relazione di uno o più esperti sulla congruità del rapporto di cambio delle azioni. Una scelta legittima, ma che non va esattamente in direzione della trasparenza di un’operazione di fusione che ha impatti rilevanti sui bilanci di due società quotate in Borsa. Interessante notare come i consigli d’amministrazione delle due banche “in occasione delle riunioni del 30 giugno 2014 – così si legge sempre nel progetto di fusione – hanno approvato le condizioni economiche della fusione determinando il rapporto di concambio nella misura pari a 0,1135 azioni di nuova emissione di Unipol Banca per ogni azione di Banca Sai e il conseguente aumento di capitale sociale di Unipol Banca a servizio della fusione”. Per determinare questo rapporto di concambio i consigli d’amministrazione delle due banche si sono avvalsi delle fairness opinion rilasciate dallo Studio Gualtieri & Associati (per conto di Unipol Banca) e dai professori Angelo Provasoli e Massimiliano Nova (per conto di Banca Sai). Per effetto della fusione, Ugf è scesa dal 67,75 al 57,75% nel capitale di Unipol Banca, mentre il gruppo assicurativo UnipolSai si ritrova in mano il 42,25% di una banca che – per usare un eufemismo – non naviga propriamente in buonissime acque. Non è forse per caso che mercoledì – mentre Cimbri presentava dati di gran lunga superiori agli obiettivi del piano industriale – la Borsa ha punito il titolo con uno scivolone di oltre il 6% e anche giovedì Ugf ha chiuso la seduta in ribasso.