Cultura

Sanremo 2015: giorno uno, quello che vi dirò

Sanremo 2015, i 20 Big sfilano sul red carpet del teatro AristonSe c’è una categoria di persone che mi fanno tenerezza, più del video dei Panda che si difendono dal tizio che vuole dar loro le medicine, più delle foto dei gattini su Facebook, più addirittura di Galliani che cerca goffamente di fare i conti con una scolarizzazione piena di lacune in geometria, sono i tanti che si affannano a dire che loro no, ci mancherebbe altro, non guardano il Festival di Sanremo. Mica sono mentecatti. Mica hanno tempo da perdere. E poi via, son soldi pubblici buttati nel cesso. C’è la terza guerra mondiale alle porte e noi qui, a occuparci di amenità. Insomma, conoscete la storiella.

Io, che sono il re dei troll, lo sapete bene sulla vostra pelle, ho dichiarato mesi fa che non lo avrei seguito, e ho anche spiegato il perché e il per come. Infatti eccomi qui, pronto a parlarvene.

Non che sia nuovo a farlo, seguo la kermesse sanremese da che ho memoria di me. Tutte le serate, anche quelle degli omaggi alla canzone italiana o dei superospiti che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono super solo nella fervida fantasia di chi li ha invitati. Quando c’era, non mi perdevo un minuto del DopoFestival, passato come sono da anni dal ruolo di spettatore a quello di addetto ai lavori munito di Pass, ho proseguito nel mio incedere con meraviglia e disincanto (sì, strano a dirsi, ma possono convivere) tra personaggi che saltano fuori solo una volta l’anno, come la varicella coi primi caldi, e artisti che, in un mondo sano, avrebbero ben altra occasione per mettersi in mostra.

Così sarà anche quest’anno, qui, sulle pagine virtuali de Il Fatto Quotidiano online.
Vi racconterò lo spettacolo, ma quello, volendo, ve lo potreste anche vedere da soli (è vero, nessuno guarda Sanremo, nessuno si masturba e nessuno legge Fabio Volo), ma anche quel che succede dietro le quinte, analizzerò le canzoni, i gossip, le alchimie che in questi giorno prenderanno vita per poi morire nel giro di una settimana senza lasciare traccia dietro di sé.
Perché?

Perché noi siamo un paese sottosviluppato culturalmente, e guardare a uno spettacolo di grande successo di pubblico che di questo sottosviluppo è sorta di cristallizzazione sotto gli occhi di tutti è comodo e facile, come uno zoologo che si trovasse tutte le razze animali che deve studiare in salotto, senza bisogno di andarsi a sporcare le scarpe in mezzo a quella che con un certa meraviglia gli animali di Madagascar chiamavano la Natura.

Tranquilli, non è mia intenzione di ammorbarvi con le mie teorie evoluzionistiche, o involuzionistiche, riguardo lo stato culturale del nostro povero paese, questa settimana vi parlerò solo e esclusivamente del Festival per quello che è. Vi dirò di come alla fin fine la canzone di Lorenzo Fragola, il ragazzino che in un mondo giusto ora sarebbe a fare la gavetta nei locali più scalcinati della sua città invece che sul palco dell’Ariston è una delle più orecchiabili, destinata a un buon successo sul pubblico giovane, come non potrebbe essere altrimenti. Vi dirò di come i Dear Jack, principali candidati alla vittoria finale in connubio con Il Volo, hanno in qualche modo sciupato un’occasione, presentandosi con un brano minore rispetto a quanto, volendo, avrebbero potuto fare. Come dire, va bene il nulla, ma anche il nulla può essere confezionato bene o meno bene (ed è questo il caso in questione).
Vi dirò di come la presenza in apertura di Al Bano e Romina sarà una sorta di gancio per la vittoria finale de Il Volo, che a quel mondo lì fa riferimento, e vi dirò anche che, se questo fosse il mondo giusto di cui sopra, i tre ragazzini che portano in giro per il mondo il “bel canto”, ora starebbero chiusi in camera a cercare di capire come è possibile che a uscire con le ragazze siano sempre gli altri, quelli che ascoltano Fedez o Sam Smith. Vi dirò che sul palco di Sanremo, nonostante la presentazione pippobaudesca di Carlo Conti, che però non è Pippo Baudo (questo può essere letto come un bene o un male, fate voi), è avvenuto un miracolo, la lapalissiana antipatia di Arisa ha fatto diventare simpatica ai nostri occhi l’altrettanto antipatica Emma, un po’ come è riuscito sabato alla De Filippi, che ci ha fatto apparire simpatico Carlo Cracco e piacevole la sua voce.

Vi dirò che Raf è Raf, ma che onestamente poteva sforzarsi un po’ di più, magari andando oltre la rarefazione e proponendo un brano in grado di superare l’osticità. Vi dirò che sì, Nina Zilli, o Mina Zilli che dir si voglia, è proprio una bella figliola, ma che se proprio vogliamo sentire quella musica lì la sentiamo nella versione originale. Poi vi dirò di Malika, di Annalisa e di tutte le altre. Sorvelerò sdegnoso sui Soliti Idioti. Dirò tutto quel che c’è da dire, sostenendo platealmente di tifare per Nesli per quello che, stessimo parlando di calcio, verrebbe inquadrato nel campo del campanilismo.

Dirò e dirò, magari andando più nel dettaglio, visto che sto parlando di qualcosa che non ho visto e di canzoni che non ho ascoltato. Poi, tra una settimana, tornerò anche a occuparmi di musica, tanto per dare un senso al mio lavoro.