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#CompraaCassano, il ‘priscio’ di Bari e la scelta di Carolina

Il calciatore ha deciso. Il marito e il padre di famiglia ancora no. Né in un senso né nell’altro. Certo, la tentazione di dire sì è forte, molto forte. Perché Antonio Cassano lo sa: tornare a giocare a Bari, nella squadra della sua città, avrebbe un fascino senza prezzo e un entusiasmo senza paracadute. Ma sa anche che in questo momento della sua vita (prima ancora che della sua carriera) la scelta non può e non deve essere una cassanata. Ha due figli piccoli e una moglie, la sua famiglia ha trovato un equilibrio solido prima a Genova, poi a Milano, infine a Parma: gente non fredda, ma rispettosa. E tifoserie non invadenti proprio perché abituate a certi livelli e a certi campioni. Bari no. Bari è sud, è fame e pallone, è una meravigliosa stagione fallimentare (quella 2013/2014) e un sogno ancora raggiungibile: tornare in Serie A nella prima stagione con Paparesta patron. Cassano, invece, non è più quello che lasciò la Puglia nel 2001 per diventare il Giamburrasca del calcio italiano, o almeno non solo: resta il solito guascone, ma negli ultimi anni ha apprezzato il valore della privacy e della tranquillità, specie per quanto riguarda gli affetti.   

In tal senso, a Bari sarebbe impossibile ricreare la bolla di sapone in salsa emiliana. Lui nel capoluogo pugliese sarebbe un re. E un re che al sabato sera passeggia sul lungomare con moglie e figli come minimo deve pagar dazio al calore un po’ tamarro di chi lo ama: “Uè Tonì, facìme nu self”. E giù migliaia di foto, strette di mano e Peroni a go go. Fantantonio lo sa: per lui sarebbe come per Totti a Roma. Ed è anche e soprattutto questo a intrigarlo. Ritornare a essere re, profeta in patria del “priscio”, che in dialetto barese è la felicità, l’entusiasmo per l’avverarsi di un avvenimento.

E poi sempre di Cassano si sta parlando: un uomo di 32 anni che ha pancia e istinto sempre più veloci di testa e lingua. Ecco perché si è lasciato corteggiare (e quasi convincere) da Paparesta. L’ha incontrato più volte, ha trovato l’accordo economico (a cifre ridicole per chi è abituato a guadagnare milioni), ha assicurato che scendere in Serie B per lui non sarebbe un problema. Perché Bari è casa sua. E perché Cassano è Cassano: sfrontato e imprevedibile, come quello stop a seguire di tacco, doppio dribbling e tiro all’angoletto che il 18 dicembre 1999 castigò l’Inter e lo presentò al pallone che conta. Sulla panchina del Bari c’era Eugenio Fascetti, suo mentore e maestro, oggi bastiancontrario del sogno a tinte biancorosse: “Se fossi in lui non accetterei – dice al Fatto Quotidiano – Non credo ai ritorni, si rischia di rovinare quanto di buono si è fatto prima di andarsene”.   

Eppure prima di andarsene Cassano la sua scommessa con la vita l’aveva vinta: aveva lasciato le difficoltà dell’infanzia a Bari Vecchia per diventare un campione strapagato, sfruttando al massimo tecnica e follia (non solo) calcistica: “Ho fatto17 anni da disgraziato e 9 da miliardario” ha detto a Pierluigi Pardo nella sua biografia. Dove non ha rinnegato nulla di un passato che potrà diventare futuro. Gianluca Paparesta ci ha messo il carico con una proposta maliarda: uno o due anni e mezzo di contratto, stipendio pagato da sponsor e imprenditori (mettiamola così: la città pagherebbe il suo campione più famoso), ruolo dirigenziale una volta terminata la carriera e, nel frattempo, cuore pulsante del progetto sportivo e di marketing.   

Insomma: un Bari formato Cassano. “Abbiamo fatto il massimo, la nostra è l’offerta più allettante”, ha detto l’ex arbitro. La testa rallenta, il cuore cammina: nel borsino delle possibilità le quote del sì sono in netta ascesa. Il San Nicola freme per riabbracciarlo, la società è pronta a riaprire la campagna abbonamenti: facile immaginare che il ritorno a casa di Cassano potrebbe significare altre 10 mila tessere sottoscritte (ora sfiorano le 12mila). Quando scioglierà la riserva? Il fantasista si è svincolato dal Parma, può accasarsi ovunque entro al 26 febbraio (in A c’è ancora chi lo cerca, Torino in primis). Ovviamente le parti puntano a chiudere prima: una settimana, massimo dieci giorni. Sabato prossimo c’è Livorno-Bari. La partita successiva potrebbe essere quella buona: i biancorossi sfideranno il Vicenza al San Nicola. Che giorno è? 14 febbraio, San Valentino.

Il Fatto Quotidiano, 5 febbraio 2015