Mafie

Caserta, via le mani dei clan dalla pelle ‘avvelenata’ dei cittadini della Terra dei fuochi

Addolorati si meravigliati no. E come potremmo? La notizia – orribile, vergognosa – che l’ospedale di Caserta era nelle mani di Francesco Zagaria (cognato del più noto e pericoloso boss dei casalesi, Michele Zagaria) prima e di sua moglie dopo, non ci ha sorpresi per niente. Sapevamo già tutto, dunque? No, ma non ci veniva affatto difficile immaginarlo. È grave che la camorra abbia potuto non solo mettere piede in quell’ospedale – letteralmente: Zagaria aveva a sua disposizione addirittura uno studio all’interno della struttura – ma tenerlo sotto controllo per anni.

Ancora e sempre la camorra, dunque, responsabile di tutti i mali delle nostre città campane? No. Chi si ostina a puntare il dito sulla camorra come unica artefice dei guai della nostra terra sa di non dire il vero. Il problema sta nell’abbraccio mortale che negli anni i camorristi hanno saputo intrecciare e consolidare con una buona parte del mondo politico e imprenditoriale. Finché non si riesce a schiacciare la testa a questa serpe velenosa che si morde la coda, non succederà mai niente di importante, al massimo dovremo accontentarci, di volta in volta, dell’arresto di qualche boss e della confisca di una parte dei suoi beni. Bisogna, invece, trovare il coraggio di andare a rivedere e correggere certi diabolici meccanismi che, nel tempo hanno preso incredibilmente piede. Come è possibile, mi domando, che i dirigenti dei vari reparti, laboratori o, addirittura, di interi complessi ospedalieri vengano scelti non in base a concorsi, titoli, capacità professionali e umane ma in virtù della loro appartenenza a un partito cui poi dar conto per il resto della vita?

Abbiamo finalmente compreso che questo micidiale modo di fare alla fine crea una prigione dalla quale sarà quasi impossibile uscire? Questo “sistema” permette di fare le più orribili assurdità senza che nessuno si senta  responsabile di niente. E’ l’antico, antipatico gioco dello scaricabarile, fino a quando un granellino di sabbia non finisce – il più delle volte casualmente – nell’ingranaggio e qualche pesciolino cade nella rete come è successo a Caserta in questi giorni. Penso al danno immenso che questo sistema produce nei nostri giovani, nei loro ideali, nella volontà che hanno di mettersi al servizio del prossimo. Deve essere penosissimo per un professionista serio e preparato vedersi passare avanti e fare carriera tanti suoi colleghi, magari meno seri e meno preparati, solo perché agganciati politicamente al carro del più forte. Credo che questo sia il modo migliore per spegnere nei giovani la fiducia nella giustizia e nel futuro e la tensione di migliorare se stessi, la propria professione e,  in fin dei conti, la società. Mi sono chiesto, e non una volta sola, come si  sia potuto arrivare a tanto. Purtroppo quando il controllore e il controllato coincidono o hanno in comune affari e imbrogli da sistemare insieme tutto diventa “normale”. Una cosa è certa: occorre al più presto uscire da questa asfissiante trappola. Occorre al più presto impadronirsi di un sussulto di dignità e gridare tutti  insieme: ‘Basta’. Troppi e troppo gravi sono gli scandali che ci stanno piovendo addosso in questi anni per poterli ancora sopportare.

L’ospedale di Caserta sorge in piena “Terra dei fuochi”, una terra martoriata e avvelenata anche grazie alla inefficienza di una classe politica corrotta, collusa o quantomeno pigra e negligente che negli anni ha permesso che si perpetuasse lo scempio che stiamo pagando a caro prezzo sulla nostra pelle. La terra avvelenata avvelena gli uomini che hanno bisogno di trovare negli ospedali e nella classe medica attenzioni, diagnosi certe e  cure appropriate. Ma, soprattutto, persone oneste e preparate che prendono a cuore una situazione esplosiva per arrivare a una soluzione. Ricominciare è possibile? Certamente.

Occorrono uomini onesti, idee chiare e pugno fermo. Ma bisogna soprattutto isolare i delinquenti. Chiunque siano e ovunque si nascondino per ridare un pizzico di fiducia al popolo  “sovrano” sempre più smarrito.