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Elezioni Grecia 2015: perché non dobbiamo avere paura del populismo democratico

Oggi la Grecia si recherà alle urne per rinnovare il Parlamento, sulle cui spalle ricadrà la scelta di designare il nuovo primo ministro. Con ogni probabilità, Alexis Tsipras risulterà vincitore da questa tornata elettorale, dopo aver già sfiorato la vittoria nel 2012. Il suo partito, Syriza, potrebbe ottenere i 151 parlamentari necessari ad eleggere un governo monocolore; in caso contrario, la manciata di numeri mancanti dovrebbe arrivare dall’accordo con alcuni partiti minori.

Nel comizio conclusivo della campagna elettorale tenutosi giovedì sera ad Atene, Tsipras si è presentato insieme a Pablo Iglesias, leader del partito spagnolo Podemos, con cui mantiene una dichiarata affinità. Alla fine, i due si sono abbracciati mentre scorrevano le note di Bella Ciao. La foto del loro abbraccio rischia di diventare l’istantanea di un momento storico: l’attimo prima dell’inizio di una fase storica nuova per l’Europa, marcata dal progressivo incedere del populismo democratico. Fissate bene quello scatto: qualora la loro scommessa politica prosperi, quell’abbraccio verrà retrospettivamente eretto a genesi simbolica di un esperimento di trasformazione dalla portata continentale. Questa evenienza non è più un’ipotesi rocambolesca, ma un’opzione che oscilla tra il possibile e il probabile.

Proprio come l’elezione di Hugo Chávez nel 1998 marcò l’avvento di una nuova stagione politica per tutta la regione latinoamericana, Tsipras potrebbe oggi giocare lo stesso ruolo. Al di là di quanto si possa pensare dell’esperienza politica del Venezuela, è indubbio che questa ha provvisto al resto del continente due elementi complementari: da una parte, l’insegnamento che le scelte politiche ed economiche non sono un’ineluttabilità, dall’altra, un bagaglio mitico-simbolico che ha attecchito ben oltre i suoi confini nazionali.

Circa il primo elemento, l’Europa vive da anni nella morsa del pensiero metafisico declinato in una versione al servizio dei mercati. La politica è stata cioè trasformata in un ambito del sapere in cui pochissimo spazio è stato lasciato a ciò che è opinabile: il resto è tecnica, è scienza, è il dominio delle scoperte incontrovertibili. Così ci si è convinti che ciò che concerne la gestione dell’economia sia puramente una questione tecnico-amministrativa: chi propone ricette diverse lo fa in quanto poco serio o poco preparato. L’arbitraria sostituzione della politica con la scienza però va incontro al doloroso impatto con la realtà: le migliaia di persone che hanno vissuto un altro inverno al freddo in Grecia sono la tragica smentita del pareggio di bilancio e delle politiche di austerità. Attraverso la vittoria di Tsipras, la politica si riappropria invece delle proprie competenze in quanto decisioni in un contesto fondamentalmente indecidibile, un ambito cioè dove non esistono giusto e sbagliato, ma rapporti di forza e progetti politici di segno opposto che lottano per l’egemonia.

L’egemonia appunto, di cui finora ha goduto il disegno germano-centrico di Angela Merkel, insieme alla cieca fiducia nei mercati. Ora però il sud dell’Europa è un subbuglio in cui può delinearsi una riconfigurazione degli assetti dell’Unione Europea. Chi promette di mettere in discussione il debito ha il coltello dalla parte del manico: paradossalmente, Grecia e Spagna sono abbastanza indebitate da poter mettere in riga l’intero sistema finanziario europeo, forzando il disegno di nuove regole e nuovi parametri, a dispetto di chi crede nell’onnipotenza dei mercati. Il potenziale più dirompente per Syriza radica tuttavia nell’effetto a macchia d’olio che interessò anche l’America Latina: la sfida nei confronti dei potenti, l’idea di poter riconquistare un’Europa sequestrata da tecnocrati liberisti e multinazionali che evadono le tasse, l’effetto Davide contro Golia sono scenari carichi di un simbolismo seducente che può spingere all’emulazione e al superamento delle impasse che tuttora impacciano buona parte della sinistra europea.

E’ il populismo democratico, una spinta che restituisce linfa alla democrazia quando quest’ultima è ormai incapace di canalizzare aspirazioni ed utopie. In tal modo, l’appello diretto al popolo e l’immancabile ingrediente emotivo sradicano le inerzie e colmano lo scarto tra istituzioni sclerotizzate e bisogno di cambiamento. Tuttavia, il populismo democratico va riconosciuto e discriminato da quello reazionario: il primo è inclusivo e fa leva sulla speranza, il secondo è discriminatorio e si appoggia sui timori. Di Tsipras e Iglesias non dobbiamo avere paura: il futuro dell’Europa passa per le loro mani.

Twitter: @mazzuele

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