Cultura

Paolo Rossi in un “Arlecchino” infernale. A Milano “le mie opinioni di un clown”

In scena fino al 31 gennaio (e in replica dal 17 al 22 febbraio) l’ultimo spettacolo dello showman, ispirato al romanzo “Opinioni di un clown” di Heinrich Böll. Tra storielle, canzoni e tanta interazione con il pubblico, in scena al CRT la vita di un comico, ma anche (l’amara) comicità della vita in Italia

“Il titolo di questo spettacolo potrebbe anche essere ‘Opinioni di un Arlecchino’”, racconta Paolo Rossi parlando di “Arlecchino”, spettacolo in scena fino al 31 gennaio al CRT di Milano, per poi essere in replica con una seconda incursione sempre al teatro milanese dal 17 al 22 febbraio, proprio sotto il periodo di carnevale. Più funambolico e lunare che mai, nella sua ultima pièce Paolo Rossi è stato ispirato dal romanzo “Opinioni di un clown” di Heinrich Böll. “Capitano libri nei quali è inevitabile identificarsi con la vita del protagonista. E capita anche che ti venga voglia di riraccontarla, raccontando te stesso o viceversa – precisa il comico – Certo, nell’opera di Böll il clown si serviva di una maschera per far critica a un paese che stava nel cuore di un miracolo economico; per il mio Arlecchino la situazione è capovolta”.

Lo showman mescola la sua maschera – quella ormai nota del comico graffiante – con quella di un “Arlecchino nevrotico e surreale, in tono con il terzo millennio prossimo venturo” (parole di Giorgio Strehler), figura inquietante, vicina a quella dei personaggi diabolici e farseschi della tradizione popolare francese. Uno spettacolo che è nato proprio da un suggerimento che gli arrivò direttamente da Strehler, con cui Rossi ha collaborato negli ultimi anni della sua vita. “Il mio Arlecchino è una questione molto personale. Anni fa Giorgio Strehler mi spinse a confrontarmi con questa maschera. Mi diede alcuni consigli illuminanti: ‘Cerca di adattare al saltimbanco i tuoi monologhi da stand-up. Che cosa resterà? Da lì improvvisa e assembla. Non essere filologico, fallo tuo. Se proprio vuoi, pensa al primo Arlecchino, quello che andava e veniva dall’al di là all’al di qua, più infernale e sulfureo”.

Tenendo a mente i consigli di uno dei maestri del teatro, Paolo Rosso approfondisce direttamente sul palco il suo modo di vedere e far conoscere il teatro popolare. Ed è proprio partendo dalle suggestioni dei personaggi carnevaleschi che il comico racconta la realtà dell’oggi attraverso un moderno Arlecchino, ma soprattutto utilizzando la maschera di se stesso. Storie, riflessioni e musiche e canzoni confluiscono in una sorta di prova teatrale aperta e in continuo divenire nella quale anche il pubblico ha un ruolo fondamentale proprio come nei modi della più tradizionale commedia dell’arte.

“Arlecchino” non è solo sul palco ma assieme ai suoi compagni di avventura – che Rossi chiama i suoi “saltimbanchi musicanti” – ovvero Emanuele Dell’Aquila (chitarra), Alex Orciari (contrabbasso) e Stefano Bembi (fisarmonica). E mentre indossa la maschera più classica del carnevale, Rossi sperimenta un nuovo modo di vivere la commedia, immaginando un personaggio sempre diverso. “Ma se andassimo in una birreria di Amburgo, come potremmo adeguare Arlecchino a quel luogo per sbarcare il lunario? E se andassimo a Las Vegas? O a Khartoum? – precisa lo showman descrivendo il canovaccio dello spettacolo e la forte interazione con la platea – Alla fine sarà il pubblico che deciderà se dobbiamo rimanere o è meglio andare chissà dove”. Un assemblaggio di monologhi, ricordi, sogni e storielle sia sulla professione del comico oggi sia su quel che accade nel nostro Paese. Per arrivare ad un’amara conclusione, come a suggerire che quanto succede fuori dal palco può essere più grottesco e ironico di ogni spettacolo un comico possa mai immaginare.