Giustizia & Impunità

Atti giudiziari e giornalismo, quando per la Cassazione l’accuratezza è troppa

Ricordo quando il mio “dominus” mi convocò nella sua bellissima stanza piena di libri, dopo avermi lasciato un paio d’ore nella biblioteca del suo studio legale a svolgere delle ricerche in giurisprudenza su di un caso che stava trattando.

Mi accomodai sulla poltroncina davanti alla sua scrivania antica. Lui fumava una pipa che rimaneva in parte nascosta dai folti baffi. Mi scrutava dall’alto in basso in attesa che io gli esponessi il risultato della mia ricerca. Appoggiai i fogli che avevo appena stampato sulle gambe e cominciai a sfogliarli. Lo ricordo così bene quel pomeriggio, anche se sono passati tredici anni, perché dopo aver selezionato le più recenti sentenze della Corte di Cassazione non avevo trovato nulla che potesse sostenere le nostre argomentazioni. Lui era rimasto in silenzio quasi tutto il tempo, aprendo la bocca solo per buttare fuori nuvole di fumo. Mentre leggevo le massime (c’est à dire la sintesi delle motivazioni delle sentenze) ogni tanto alzavo lo sguardo e lui mi continuava a scrutare. La sua espressione era severa come sempre. Ma ascoltava con attenzione la mia lettura. Finché ad un certo punto mi bloccò con un cenno della mano. Si alzò dalla sua poltrona e si avvicinò alla finestra e finalmente parlò. Mi disse che dovevo buttare via tutto perché secondo lui era carta straccia.

Per me, giovane e inesperto praticante, era tutt’altro che carta straccia. Era la giurisprudenza della Cassazione. Come avremmo potuto sperare in un esito positivo del procedimento se non avevamo trovato della giurisprudenza favorevole?

Mi disse che anche la Cassazione sbaglia. Con il tempo quelle pronunce sarebbero state sostituite da altre ben più logiche e condivisibili.

Ieri ho letto della pronuncia della Cassazione civile contro i tre giornalisti del Corriere della Sera che scrissero articoli sulla vicenda giudiziaria dei diritti tv Mediaset, riportando stralci di atti giudiziari che non erano più coperti da segreto istruttorio. Confalonieri gli fece causa. E dopo i due gradi di giudizio che hanno dato ragione ai tre giornalisti del Corsera, la Cassazione ha deciso che la Corte d’Appello dovrà rivalutare le motivazioni che l’avevano spinta a rigettare la richiesta di risarcimento danni avanzata da Confalonieri.

Una sentenza che oggi fa molto discutere. Perché ha stabilito che i giornalisti, citando testualmente le frasi contenute negli atti giudiziari non più secretati (e virgolettandole ovviamente), non avrebbero commesso alcuna diffamazione ma avrebbero comunque violato il combinato disposto di cui agli articoli 684 c.p. e 114 c.p.p., con la pubblicazione arbitraria degli atti non più coperti dal segreto.

Nella sostanza avrebbero dovuto riassumere il contenuto degli atti giudiziari che volevano citare. Quindi “rei” di essere stati troppo fedeli alla realtà dei fatti.

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