Politica

Pd e scandali, Felice Casson (Pd): “Basta politicanti, ma la lotta si fa dall’interno”

L'ex magistrato e membro dei Democratici: "La ferita più profonda? Il no del mio partito all'uso delle intercettazioni per Antonio Azzolini, contro i nostri ideali". Ora si candida per le primarie del centrosinistra a Venezia: "In Parlamento incidiamo poco, me ne torno in Laguna. Scissione? La contemplo solo se non ci sono più strade"

Servirebbero più persone esterne alla politica. Farebbero bene al Paese. Meglio gli esterni di tanti politici politicanti, interessati soltanto alla cadrega. Alludo anche a parte del Pd”. Felice Casson si sente ancora un “esterno” ed è con questo approccio che, dopo otto anni da senatore, affronta le primarie come sindaco di Venezia. Un incarico che perse per duecento voti nel 2003, quando a vincere fu Massimo Cacciari: il primo a criticare questa sua decisione. “La situazione stava degenerando già prima degli arresti. Orsoni era discusso anche all’interno del Pd. L’evidenza dello scandalo ha reso manifesta una situazione drammatica. Venezia è una città quasi in macerie, governata da ‘tecnici’ e poteri forti che non fermano il disastro. Anzi”.

Come si esce dallo scandalo Mose?
Con una politica radicalmente diversa, che abbia ampio respiro e non pensi solo a domani ma anche a quel che sarà tra vent’anni. Maggiore attenzione al territorio, all’ambiente, ai temi etici. E lotta serrata alla corruzione.

Tutte cose non esattamente urgenti per Renzi.
Anche il Patto di Stabilità è un colpo durissimo. Il calcolo è stato fatto su dati del 2007, quando Venezia stava molto meglio e poteva per esempio beneficiare dei tanti soldi che arrivavano dal Casinò. Un tale calcolo errato provoca tagli terribili a discapito dei servizi sociali basilari per i cittadini.

Sta criticando una politica nazionale voluta dal leader del suo stesso partito.
Le mie divergenze dalla politica del Pd sono note. Riguardano la lotta alla corruzione, la difesa della Costituzione, il Jobs Act.

Praticamente tutto. Perdoni, ma lei e Civati nel Pd che ci state a fare?
Per combattere dall’interno e perché la scissione la contemplo solo se non ci sono più strade. Se ci fossero cento persone in più come me o Civati, potremmo condizionare la politica del partito. Lo abbiamo fatto quando si è discussa la decadenza da senatore di Berlusconi e lo facevamo di continuo nella passata legislatura con D’Ambrosio e altri.

Con Renzi è un’utopia: comanda solo lui.
Sono ottimista per natura, ma ammetto oggi di essere più ottimista su scala locale che nazionale. A Venezia posso incidere molto di più.

Scappa da Roma perché la lotta in Parlamento non ha più senso per quelli come lei?
Non scappo. Se fallirò a Venezia, continuerò le mie battaglie in Senato. Non mi sono mai pentito di avere abbandonato la magistratura e Venezia non è un’esperienza minore. Poi, certo, un po’ di disillusione per quello che la politica poteva fare e non ha fatto, anzitutto per ciò che concerne la legalità, c’è.

Quale è la stata la sua ferita maggiore come membro del Pd nel tempo di Renzi?
Il no all’uso delle intercettazioni per Azzollini (Ncd). Mi sono autosospeso. Siamo andati radicalmente contro programmi e ideali del Pd. Una cosa così, ai militanti, non puoi spiegarla.

Cacciari dice che la sua decisione è sbagliata e doveva limitarsi a fare “il padre nobile”.
Non faccio polemiche, ma non mi sento vecchio e continuerò a giocare su più campi finché mi sentirò all’altezza. E poi non si sa neanche chi parteciperà alle primarie.

Il renziano Molina, il rifondataro Bonzio, l’ex vicesindaco Simionato. E lei.
I soli sicuri siamo io e Molina, con il quale peraltro eravamo dalla stessa parte al Congresso. Continuo a credere che a Venezia sia possibile unire parti politiche diverse, legate da idee comuni in grado di salvare e rilanciare la città.

E Casson è la persona giusta.
Se non mi sentissi all’altezza del compito, non avrei deciso di concorrere alle primarie. E nella mia lista ci saranno solo incensurati.

Ha seguito il caso Marghera. Sentenze come quella sull’amianto dimostrano che poco o nulla è cambiato.
Abbiamo fatto decine di emendamenti per permettere la punibilità di determinati reati, proprio pensando a Marghera. Ma la sentenza Eternit è diversa: sono stato tra i pochi ad avere il coraggio di dire che quella della Cassazione è una sentenza per nulla ‘dovuta’, ma dettata da valutazioni politiche. La prescrizione non era certo obbligatoria.

Lei ha indagato su stragi, servizi deviati, disastri ambientali.
Occupandomi di inquinamento ambientale ho toccato con mano il dramma delle famiglie colpite e questo mi ha arricchito umanamente. Trovando i responsabili della strage di Peteano scoprimmo anche Gladio. E proprio indagando su Gladio capii sin dall’inizio che, nelle istituzioni, accanto a persone straordinarie ci sono anche autentici banditi.

Da Il Fatto Quotidiano del 27 dicembre 2014