Cinema

Cinema italiano: letterina a Babbo Natale

Caro Babbo Natale del cinema italiano,

quest’anno sono stato un po’ cattivo e un po’ buono.

Cattivo soprattutto perché più passano gli anni meno mi piaccio se mi guardo allo specchio. Non parlo delle rughe, delle occhiaie, dello sguardo che pian piano si spegne, del viso che tende ad allargarsi, della barba che diventa sempre più bianca. No. Parlo di questo essermi adagiato su una tendenza tutta italiana di non dare mai una risposta chiara, di ostinarmi a vendere come un valore il fatto che non abbia filtri ma di rispondere sempre più di rado a chi mi cerca, di preferire sempre di più rimanere sbracato su un divano a fissare il vuoto piuttosto che darmi da fare e lavorare come facevo tanti anni fa.

Buono soprattutto perché malgrado passino gli anni ancora ci credo, ancora voglio inventarmi nuovi orizzonti cinematografici, ancora voglio credere e lavorare per il futuro, ancora posso fissare i miei occhi un po’ spenti riflessi in quello stesso specchio che mi rimanda l’immagine di me che non mi piace senza doverli abbassare per la vergogna del compromesso.

E’ per questo essere un po’ cattivo ma anche un po’ buono che penso di poterti chiedere dei regali.

Vorrei che anche nel prossimo anno ci fosse almeno un film destinato a rimanere invisibile che invece diventi un piccolo caso come è successo quest’anno a E fu sera e fu mattina di Emanuele Caruso, senza però pensare che la strada del futuro del cinema italiano sia quella di film no budget, perché fare cinema deve essere un’attività che consenta a delle persone di lavorare e quindi di guadagnare e quindi di pagarsi un alloggio e un po’ di cibo e un po’ di svago.

Vorrei che i miei “colleghi” produttori si rendessero conto come me di essere un po’ cattivi e quindi correggessero la propria cattiveria iniziando a dare delle risposte alle persone che gli propongano un film o magari gli chiedano solo un incontro.

Vorrei che tutte le persone che vogliano fare un film e non ci riescano siano più umili e non pensino di essere incomprese, osteggiate da un sistema cattivo e quindi vittime.

Vorrei però anche che il sistema diventasse più giusto, meno chiuso, meno arrotolato su un presente che salvaguardi la sopravvivenza di chi c’è ma invece si aprisse a un futuro per chi ancora non c’è perché troppo giovane o perché non ce l’ha ancora fatta pur invece meritando di farcela.

Vorrei che la gente che il cinema lo fa non si sentisse quasi sempre ‘stocazzo. Babbo Natale perdonami il termine che rende troppo bene l’idea.

Vorrei che i nuovi film di Matteo Garrone e Paolo Sorrentino e Nanni Moretti e Marco Bellocchio, solo per dirne quattro, fossero dei film importanti, che chiudano per qualche istante la bocca a quelli che continuano a dire che il cinema italiano fa schifo, quando invece non è vero, perché ogni anno in questo paese si fanno almeno una decina di film importanti, più o meno nella stessa percentuale delle altre cinematografie. Il guaio è che ormai quelli si sentono anche legittimati a non vederlo più il cinema italiano. Pur continuando a sputarci sopra.

Vorrei che ci si rendesse conto in questo paese che senza produttori e registi giovani la cinematografia non va da nessuna parte. Ma come si può cominciare a produrre in un paese in cui tutte le forme di finanziamento, sia pubbliche che private, mettono a disposizione il denaro mesi, in alcuni casi anni, dopo che il film sia stato realizzato e in cui le banche non danno più valore a nessun tipo di contratto se non a beni materiali da dare in garanzia. In questo paese le banche vogliono e debbono far crescere il debito di un vecchio produttore piuttosto che aprire una piccola linea di credito a un giovane produttore. Ma sarà o no questo un problema che il sistema si deve porre seriamente e urgentemente per trovare una soluzione?

Vorrei che ci fosse ancora spazio per sperimentare nuovi linguaggi, nuove forme, nuovi percorsi, anche a costo di sbagliare, anche a costo di perdere oggi per costruire qualcosa di importante  domani.

Vorrei che il pubblico non mollasse, creando un rapporto di complicità reciproca con i film che sente più affini a se stesso, perché non esiste un pubblico, ma tante fette di pubblico quanti tipi di film esistano.

Vorrei che nei cinema si potesse vedere di tutto.

E poi, come ultima cosa, caro Babbo Natale, vorrei che tu mi dessi la forza di continuare a lottare per le cose in cui credo: vorrei continuare a insegnare a fare cinema senza ingannare e vorrei continuare a raccontare i territori di questo paese sia attraverso le voci di chi quei territori li vive, sia attraverso le voci di chi narra per mestiere.

Quest’anno ho deciso di non fare l’albero di Natale, perché forse non è tempo di luci, di palline colorate, di stelle. Quindi questa letterina che sarebbe stata bene sotto l’albero l’affido a questo mezzo moderno. Sperando che tu non ti offenda.

E quando arrivi, se esisti, se arrivi, batti un colpo. Tanto io ti aspetto sveglio.